DI PIERO ORTECA
Festa dell’estate in uscita e il sempre più caotico dopo che ci spetta. E Piero Orteca, con un po’ di cattiveria, anche oggi va a ‘pescare nel torbido’ della geopolitica. I fatti su cui troppo spesso la “grande stampa”, si “distrae”. Che anche a Ferragosto puzza di petrolio e anche di peggio. Il gas è più inodore ma uccide prima.
A farci riscoprire la saggezza latina del “pecunia non olet” anche nei giorno della Ferie di Augusto e di chi se le può ancora permettere.
Pecunia “non olet” ma il petrolio puzza tanto
La notizia di ieri, una specie di fulmine a ciel sereno, è che uno dei Paesi che, storicamente, fungono da punto di riferimento per l’America nel Medio Oriente, l’Arabia Saudita, fa grande business finanziario con la Russia. In particolare, il gruppo Kingdom Holding ha investito mezzo miliardo di dollari con i giganti dell’energia di Mosca: oltre 300 milioni con Gazprom, mentre il resto è andato a Rosfnet e a Lukoil. In tempi di Terza guerra mondiale economica, tra l’Occidente e Putin, sapere che i sauditi allargano i cordoni della borsa e aiutano il Cremlino a parare il colpo delle sanzioni, certo non induce all’ottimismo.
Solo “Cose arabe”?
Come tutte le cose arabe, in cui spesso si mischiano politica, affari, religione e odii tribali, anche questa storia è ingarbugliata. Protagonista assoluto è uno degli “oligarchi” sauditi (che là si chiamano sceicchi) pieni di petrodollari. Secondo il Financial Times, il principe Alwaleed bin Talal è il proprietario dell’impero finanziario di cui stiamo parlando. Forse. Perché il nuovo uomo forte del regime, il principe ereditario bin Salman, nel 2017 ha fatto una bella pensata: ha chiuso in una stanza tutti i miliardari del Paese. A pane e acqua. E li ha fatti uscire solo quando hanno firmato la cessione dei loro patrimoni allo Stato. Cioè al re, che è suo padre e, per la proprietà transitiva, a lui, che potremmo definire “l’utilizzatore finale”.
Democrazia e/o convenienza
Tutto questa partita di giro, solo per far capire che, molto chiaramente, la decisione di investire in Russia non è solo “commerciale” ma è anche “politica”. Certo, i tempi non coincidono sempre perfettamente con quelli delle sanzioni, perché qualche investimento è avvenuto un mese prima. Ma nessuno di essi è stato ritirato. Il governo saudita, poi, nel maggio di quest’anno, ha assunto il controllo del 17 per cento di Kingdom Holding, mossa che, al di là della quota minoritaria, gli consente di controllare ed eventualmente indirizzare tutte le attività del gruppo.
100 miliardi sauditi a pura convenienza
La liquidità e gli asset espropriati da bin Salman ai grandi “oligarchi” sauditi, secondo FT, supererebbero la cifra di almeno 100 miliardi di dollari. Una somma che impiegata nel commercio internazionale, ad esempio, potrebbe cambiare alcuni equilibri, almeno nel breve periodo. La sostanza, però, è un’altra, che la Casa Bianca fatica ad afferrare. Eppure è straordinariamente semplice: ognuno ha la sua “realpolitik”, fatta di interessi nazionali legittimi e, a seconda delle situazioni, più o meno convergenti. O assolutamente divergenti.
Dominio del dollaro o del petrolio? Mosca-Riad
Nel caso specifico, il primo organismo sovranazionale al quale l’Arabia deve rendere conto è l’Opec, l’Organizzazione dei produttori di petrolio. Anzi, l’Opec “allargata”, quella a 23 Paesi, di cui fa parte anche la Russia. Bene, Mosca e Riad (due soli produttori) assieme fanno 20 milioni di barili di greggio al giorno. Sono “un cartello nel cartello”. E se si mettono d’accordo, ricattano mezzo pianeta. Se anziché aumentare la produzione a settembre di un decimale (100 mila barili), l’Arabia, ad esempio, decidesse di tagliare per tre mesi la metà (5 milioni di barili al giorno) di quello che produce, la benzina costerebbe il doppio.
“Facendo perdere le elezioni, nessuno escluso, a chi è al potere in Occidente.Ergo, tra Arabia e Russia non c’è nessuna simpatia: ci sono solo interessi. E di quelli grossi”.
Di Piero Orteca
Da:
15 Agosto 2022
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