DI MARIO PIAZZA
E’ un po’ come per Sanremo e il Giro d’Italia, quando prende il via una campagna elettorale non c’è modo di ignorarla. Anche i più refrattari alla politica se la vedono entrare in casa da ogni pertugio e prima o poi, come per le canzonette e il ciclismo, qualche straccio di opinione intrisa di ignoranza e di pregiudizi non possono fare a meno di esprimerla.
Come per le canzonette e per il ciclismo gli esperti si lanciano in sapienti dissertazioni traboccanti di analisi e di riferimenti storici e con improponibili paragoni e dettagli insignificanti costruiscono ponderosi discorsi ma al grosso dei destinatari di tutto questo lavoro arriva soltanto la patina superficiale, quella fatta di demagogia, di velleitarismo e di una incommensurabile quantità di balle.
E’ così che eleggiamo i governi a cui affidare il nostro futuro e i nostri quattrini, con superficialità, come se stessimo orecchiando una canzonetta o gettando uno sguardo distratto al plotone di ciclisti che si arrampicano sugli Appennini ma sempre con quel retropensiero malato e velenoso di cui neppure ci rendiamo più conto… A noi che ci cambia? Che ce ne fotte?
Ce ne fotte eccome, e se questa volta non cambiamo passo ce ne accorgeremo prestissimo.