DA REDAZIONE
Tra giallo e “noir” di spie, l’obiettivo dell’autobomba che ha ucciso la giornalista Darya Dugina, figlia di Alexander Dugin, politico e filosofo dell’estrema destra russa, descritto un po’ superficialmente dalla stampa occidentale come «l’ideologo di Putin».
“Eurasista nazional socialista” la definizione forse più corretta, con molte spiegazioni a seguire. Dugin sembra essere più popolare nei movimenti di estrema destra e nell’opinione pubblica occidentale che in Russia: non avrebbe accesso nemmeno alla cerchia ristretta dei collaboratori di Putin.
Ovviamente l’assassinio di Darya Dugina – la figlia del molto discusso intellettuale – impensierisce il Cremlino. L’utile ipotesi del “terrorismo ucraino” e il realistico regolamento di conti fra nazionalisti russi.
Intellettuale russo seguito in occidente
Nato nel 1962 in una famiglia di militari di alto rango, Dugin in gioventù fu un militante anti-comunista, si unì a vari collettivi di avanguardia e negli anni Novanta, e con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, fondò il “Partito Nazional Bolscevico” con Eduard Limonov, personaggio reso celebre dal romanzo di Emmanuel Carrère. Vicino a formazioni neonaziste tedesche, nel 1997 Dugin scrisse il libro «Fondamenti di Geopolitica: il futuro della Russia», in cui sviluppava la teoria del “Neo-eurasiatismo”, secondo cui la Russia sarebbe dovuta tornare a essere una potenza mondiale come ai tempi sovietici e in opposizione al mondo occidentale, ma senza comunismo. Dugin ipotizzava anche una spartizione delle zone di influenza con la Germania, che avrebbe dovuto lasciare l’Unione Europea.
Nazionalismo russo tra soviet e Zar
Queste teorie hanno reso Dugin piuttosto popolare nel 2014, con la guerra in Ucraina orientale per il Donbass . «Di colpo era ovunque in televisione, il suo libro era citato e gli fu offerta una cattedra all’Università statale di Mosca», ha scritto Mark Galeotti, ricercatore e scrittore esperto di Russia. Ma poi il Cremlino decise di non procedere con l’annessione diretta dell’autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk e Dugin non fu più utile. «Gli inviti in tv scomparvero, così come il contratto con l’università».
Nessun accesso a Putin
Sempre secondo Galeotti, Dugin, che non ha mai avuto accesso diretto a Putin o ai suoi più stretti collaboratori, ha cercato di intuire le mosse future del governo, invocandole all’interno di una sua ricca produzione di articoli e libri, e cercando così di accreditarsi come “ideologo” della nuova politica russa, specialmente all’estero e in Occidente, dove nonostante le sue tesi estreme e le sue simpatie naziste era spesso invitato a dibattiti a pagamento. La sua presunta vicinanza col Cremlino è quindi, secondo molti esperti che vivono in Russia, una costruzione dello stesso Dugin, per profitto personale e autopromozione.
Fascioleghismo alla russa
Alexander Dugin arrivò In Italia nel 2015, attraverso Gianluca Savoini, uomo di fiducia di Matteo Salvini, già al centro dei discussi rapporti fra la Lega e la Russia. Savoini, scrivono molti giornali italiani, è un grande estimatore di Dugin, che nel 2018 riportò in Italia per un tour promozionale dei suoi libri. E Dugin incontrò più volte Salvini (esiste anche una foto della figlia Darya col leader leghista): fu sostenitore in varie interviste del primo governo Conte e dell’alleanza fra Movimento 5 Stelle e Lega, «passo storico verso l’affermazione irreversibile del populismo». Recentemente –segnala il Post-, si era detto deluso del sostegno di Salvini al governo Draghi e ha profetizzato un «grande futuro per Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia». Tesi intrise di esoterismo e profezie sul “destino”.
Darya, prima della bomba le sanzioni
La figlia di Dugin, Darya Dugina, era stata inserita nella lista delle persone colpite dalle sanzioni occidentali, accusata di disinformazione sulla guerra per un canale televisivo di proprietà di Evgeny Prigozhin, uno dei principali finanziatori dei mercenari del gruppo Wagner. La relativa rilevanza di Dugin e della figlia nella vita politica russa rendono le accuse su un presunto coinvolgimento dell’Ucraina nell’attentato molto incerte. Ma l’FSB, l’agenzia federale dei servizi segreti russi ha incolpato l’intelligence ucraina di aver organizzato l’omicidio. Natalia Vovk, ucraina incaricata dall’intelligence di Kiev di arruolare una donna killer per compierlo materialmente. Ma i dubbi sono consigliati.
Poteri russi in confusione
I servizi segreti che cercano di imporre la loro versione alla magistratura, ma non è ancora detto. Su chi puntare il dito non è questione di secondaria importanza avverte Orietta Moscatelli su Limes. Vero è che si è mobilitata la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova: «Se le tracce ucraine dovessero essere confermate, allora bisogna parlare di terrorismo di Stato messo in atto dal regime di Kiev». Un monito. Ma anche un modo per sottolineare che «le autorità competenti devono verificare». L’attentato a 30 chilometri dal centro di Mosca potrà pure risultare utile al regime, ma resta un colpo all’immagine del Cremlino, che non ha commentato.
Dubbio su “cui prodest”
C’è buona probabilità che i veri moventi dell’uccisione di Dugina rimangano mistero non risolto, né dagli inquirenti né dagli osservatori delle dinamiche interne russe. Daria era più nota al grande pubblico di papà Aleksandr e anche più scomoda per la visibilità e gli appoggi che si era assicurata rispetto ad altri pezzi dell’articolata e litigiosa galassia dei nazionalismi radicali, di destra e anche sinistra. «Una costellazione mandata in subbuglio dalla guerra in Ucraina – Orietta Moscatelli-, dove i rossobruni non sono più fronte compatto ma divisi tra nazionalisti di sinistra e di destra, i secondi in totale rottura con il passato sovietico»
Il dopo Putin che comunque verrà
Chi segue davvero da vicino gli ambienti del potere russo consiglia di non sottovalutare le lotte in corso per il “dopo-Putin”, che è come il “dopo-guerra”: non lo si vede all’orizzonte, ma a un certo punto arriverà e guai a farsi cogliere impreparati.
Aericolo pubblicato dalla redazione di Remocontro
23 Agosto 2022