CHI GIUDICA I MILITARI DI ALTRI PAESI CHE COMMETTONO REATI IN ITALIA

DA REDAZIONE

 

Nella notte tra sabato e domenica 21 agosto una militare americana in servizio alla base di Aviano ha investito e ucciso il quindicenne Giovanni Zanier sulla pista ciclabile di Porcia, in provincia di Pordenone, in Friuli Venezia Giulia. Per la militare, Julia Bravo, di 20 anni, arresti domiciliari nella base militare, dopo che era risultata positiva all’alcol test. È accusata di omicidio stradale, e ora si dovrà capire se un eventuale processo nei suoi confronti si svolgerà negli Stati Uniti o in Italia.

Tra immunità e impunità

Un accordo internazionale firmato nel 1951 a Londra da tutti i paesi della NATO e ratificato in Italia nel 1955, stabilisce che i militari dei paesi dell’alleanza atlantica che sono impegnati in un altro paese sempre della NATO, se commettono un reato, siano processati nel proprio paese d’origine.
In pratica, la militare statunitense dovrebbe essere processata negli Stati Uniti. Il fatto su cui litigare giuridicamente è che la soldatessa non avrebbe commesso il reato di cui è accusata nell’esercizio delle proprie funzioni e questo può comportare altre possibilità, la valutazione del Post. Ci sono infatti alcuni precedenti che fanno pensare che la soldatessa possa essere giudicata da un tribunale italiano.

Il trattato del 1951, pezzo per pezzo

«Le autorità degli Stati di soggiorno e d’origine si presteranno reciproca assistenza nello svolgimento delle inchieste, nella ricerca delle prove, compresi il sequestro e, se del caso, la consegna degli elementi di prova e dei corpi del reato».
«La custodia di un membro di una forza o di un elemento civile sul quale lo Stato di soggiorno deve esercitare il suo diritto di giurisdizione e che si trovi nelle mani delle autorità dello Stato d’origine continuerà ad essere assicurata da parte di queste ultime sino a che egli non venga imputato formalmente dallo Stato di soggiorno».

Traduzione dal legal burocratese

In pratica saranno le autorità militari americane a essere responsabili della custodia della soldatessa fino a che non venga deciso o meno il rinvio a giudizio. Quello che potrebbe succedere dopo l’ha spiegato al Corriere della Sera il procuratore di Pordenone Raffaele Tito: «Nel caso dovesse scattare un eventuale rinvio a giudizio, le autorità americane potrebbero avocare a sé la giurisdizione di ogni provvedimento, ma per farlo dovrebbero inoltrare una specifica richiesta al ministero della Giustizia italiano, come prevede un trattato della Nato»«Credo che la vicenda potrà avere molti strascichi», la valutazione del magistrato.

Molti strascichi dopo il Cermis

Le autorità americane potrebbero quindi avanzare la richiesta che venga accolto il “difetto di giurisdizione”, ovvero la sottrazione dei potere giudicante ai magistrati italiani sulla base dell’accordo Nato. E’ quanto temeva da subito Barbara Scandella, la mamma del ragazzo ucciso: «Chiedo alle autorità che neghino l’autorizzazione allo spostamento di giurisdizione negli Usa, anche se so che in quel paese per questi reati le pene sono anche più severe. Ma noi vogliamo seguire il processo e che la soldatessa venga condannata in Italia al massimo della pena».

«Sappiamo tutti i precedenti che hanno coinvolto militari americani in gravissimi incidenti in Italia. La verità è che, in queste zone, fanno quello che vogliono e restano impuniti».

Attesa del rinvio a giudizio

Per sapere che cosa avverrà bisognerà quindi attendere il rinvio a giudizio italiano della militare americana. A quel punto sapremo se le autorità americane avanzeranno la richiesta di difetto di giurisdizione e se, in quel caso, il ministero della Giustizia italiano accetterà la richiesta. Pessima scelta politica americana, l’eventuale richiesta di rinvio alla giustizia statunitense. Peggio ancora se il Ministero della Giustizia italiano non darà battaglia contro.

I precedenti noti

Il violentatore con lo sconto

Nel 2004, James Michael Brown, paracadutista americano in servizio nella caserma Ederle di Vicenza fu arrestato per aver ammanettato, picchiato e violentato una ragazza nigeriana di 27 anni. Fu processato in Italia e condannato a cinque anni e otto mesi di reclusione. Il collegio giudicante applicò le attenuanti perché il militare era da poco tornato dall’Iraq. Nelle motivazioni della sentenza: «Il prolungato logorio psicologico al quale è stato sottoposto l’imputato, e la minore importanza che ha finito per dare alla vita e alla incolumità altrui, non possono non aver influito sulla commissione dei reati e sui modi con i quali i reati stessi sono stati consumati». Dopo sei mesi di carcere in Italia, Brown venne trasferito in un carcere militare americano in Germania e dopo due anni fu scarcerato.

Le strade di Vicenza come autodromo

Louis Carrillo e David Michael Simon, anche loro della caserma Ederle, furono fermati la sera del 2 dicembre 2006 a Vicenza mentre, a bordo di due auto, stavano gareggiando tra loro ad alta velocità per le strade della città. Dopo otto anni, il ministero della Giustizia italiana cedette alla richiesta americana di rinunciare alla giurisdizione e il processo venne trasferito negli Stati Uniti. Mancano notizie su eventuali condanne.

Auto pirata contro tre pedoni

Nel 2012, un’auto con a bordo Dax Xavier Board, Kyle Michael Rascon e Jahgary Indiana Ruiz, investì tre pedoni a Vicenza. L’auto, dopo pochi istanti di incertezza, ripartì senza prestare soccorso. I tre militari furono accusati di omissione di soccorso, fuga e lesioni personali. L’anno dopo il ministero della Giustizia italiana rinunciò al diritto di giurisdizione. Possiamo annotare soltanto che l’allora ministra era Paola Severino Di Benedetto.

Violentatori in coppia

Nel 2015 due militari, Jerelle Lamarcus Gray e Darius Montre McCullough, assegnati alle caserme vicentine Ederle e Del Din, furono arrestati con l’accusa di aver sequestrato e violentato una donna rumena, incinta al sesto mese. In quel caso l’esercito americano non avanzò nessuna richiesta e due anni dopo i due militari furono condannati in via definitiva a quattro anni e sei mesi di reclusione ciascuno dalla giustizia italiana. L’esercito americano diede alla donna un risarcimento di 160mila euro.

E la vergogna imperdonabile del Cermis

Il caso più noto e drammatico è quello della funivia del Cermis, in Trentino, il 3 febbraio 1998. Un aereo militare americano decollato dalla base di Aviano, in provincia di Pordenone, tranciò le funi della funivia che da Cavalese porta all’Alpe Cermis. La cabina che stava viaggiando precipitò per 150 metri e vi morirono venti persone. L’aereo doveva svolgere addestramento a bassa quota ma quando tranciò il cavo stava volando a una quota inferiore a quanto concesso dai regolamenti.

I pubblici ministeri italiani chiesero di processare in Italia i quattro membri dell’equipaggio dell’aereo ma il ministero della Giustizia italiano decise che la giurisdizione sul caso dovesse essere quella statunitense.

Corte marziale Usa con lo sconto

Il processo a Richard Ashby, pilota dell’areo, si tenne a Camp Lejeune, nel North Carolina. Fu accertato che il velivolo aveva volato più basso rispetto alle norme vigenti e che anche la velocità superava i limiti consentiti. Ma fu anche accertato che le mappe non segnalavano la presenza dei cavi della funivia. Il pilota venne assolto. Ashby e il navigatore, Joseph Schweitzer, furono processati anche con l’accusa di intralcio alla giustizia per aver distrutto il nastro che conteneva un video registrato sull’aereo. Schweitzer ammise il fatto dicendo: «Ho bruciato la cassetta. Non volevo che la CNN mandasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime». Riconosciuti colpevoli, i due furono degradati ed espulsi dall’esercito.

Rimborso rimorso

Poche settimane dopo l’incidente, il Senato degli Stati Uniti stanziò 40 milioni di dollari come risarcimento alle famiglie delle vittime, ma il denaro fu bloccato dal ministro della difesa William Cohen. Nel dicembre 1999 il parlamento italiano approvò una legge che prevedeva indennizzi ai familiari delle persone morte per 4 miliardi di lire per ogni vittima. I risarcimenti furono effettuati dal governo italiano che poi, per il 75 per cento della somma, fu a sua volta risarcito dal governo degli Stati Uniti.

AVEVAMO DETTO

Articolo della Redazione di Remocontro
24 Agosto 2022