DI CLAUDIA SABA
A Bologna, alle nove di ieri sera, Alessandra Matteuzzi ha trovato un uomo ad aspettarla sotto casa.
Lo aveva già denunciato per stalking e nei suoi confronti era stato emesso un ordine restrittivo.
Alessandra ha cercato di allontanarlo ma Giovanni Padovani, un calciatore di 27 anni, l’ha uccisa a martellate.
Alessandra aveva denunciato.
Le forze dell’ordine e la Procura sapevano.
Anche i vicini sapevano ma come spesso accade le donne non vengono ascoltate.
E così tutti avevano sottovalutato.
Persino oggi, dopo la morte, i commenti su di lei sono squallidi e sprezzanti.
“Si, ma lui era più giovane”.
Come dire che in fondo un po’ “se l’è cercata”.
La verità è che continuiamo a raccontare storie di donne morte ammazzate ogni giorno.
Grazie a una politica che si cura di tutto, ma non di contrastare la violenza contro le donne.
E nemmeno di educare, cambiare volto a questa società che vede le donne come soprammobili, esseri di supporto all’uomo e mai “attrici”.
Donne che dopo una denuncia sono ancora più esposte a ritorsioni, intimidazioni, paura.
E lasciate sole da uno stato assente, da una politica morta, da tribunali che lasciano libero il carnefice fino al terzo grado di giudizio con “facoltà di uccidere”.
Io penso che noi donne dovremmo muoverci tutte insieme e obbligare lo stato a proteggerci di più.
Non si può più lasciar correre senza fare nulla.
Assistere a questa continua strage di sangue commentata superficialmente da qualche giornale, telegiornale, parlamentari irricevibili che con le loro chiacchiere mai hanno risolto il problema e mai lo risolveranno.
Si, perché di Alessandra e di tutte le donne ammazzate se ne parlerà per qualche giorno.
Poi calerà il silenzio.
“Perché le vittime, se non utilizzabili a livello politico, interessano a pochi”.
Foto nel titolo dal profilo Facebook