DA REDAZIONE
Per Mario Draghi il meeting di Rimini è stato un successone. Trionfale l’ingresso nei padiglioni della Fiera tra i due osannanti cordoni di militanti di Comunione e Liberazione. Ma la consacrazione a divinità è avvenuta con il sermone finale.
In un discorso di 48 minuti, rigorosamente letto, ha ripercorso le gloriose tappe del governo di unità nazionale che ha avuto – precisa – l’indubbio onore di presiedere, sciorinando alla platea un coacervo di tecnicismi e di dati sovente seguiti da applausi, palesemente a comando, che avevano tutta l’aria di voler fornire uno straccio di credibilità ad un discorso che faceva acqua da ogni parte.
Non a caso gli applausi partivano ogni volta che se ne sentiva maggiormente il bisogno.
Come quando ha dichiarato che il rapporto debito/PIL, sceso del 4,5% nel 2021, quest’anno calerà del 3,8%; e che «si tratterà del maggior calo del debito pubblico in un biennio dal dopoguerra». Applausi che sono diventati più intensi e duraturi quando ha rilevato che «mai negli ultimi 20 anni, con l’Italia uscita da una recessione, vi è stato un simile calo del rapporto debito/pil».
Si è poi sfiorata l’apoteosi quando ha messo di mezzo il Fondo Monetario Internazionale, il quale avrebbe giurato che «cresceremo più di Francia e Germania e della zona Euro nel suo complesso».
Altri urgenti applausi quando ha farneticato sul «ruolo di protagonista dell’Italia nella UE e nella NATO».
Il capitolo Russia. Scarica di applausi quando ha sottolineato la necessità dell’Italia di dotarsi dei rigassificatori, avendo la Russia «utilizzato il gas come arma geopolitica contro l’Ucraina e i suoi alleati europei», guardandosi bene dal citare le sanzioni economiche che hanno occasionato le contromisure di Mosca. E addirittura ricorrendo, in maniera davvero spettacolare, al concetto di sovranità, affermando che «dipendere da un Paese che insegue il suo passato imperiale è l’esatto contrario della sovranità». Una cosa che «non deve accadere mai più».
Applausi tanto assordanti quanto necessari quando ha affermato che «l’Ucraina è un paese libero e democratico» e che «ha diritto di decidere il proprio destino», senza specificare a chi in platea non lo sapeva che l’Ucraina non sta decidendo nulla. Ha poi sancito il principio della guerra infinita, dichiarando che «la pace va cercata ma deve essere l’Ucraina a decidere quali termini di pace siano accettabili». Infine, la chicca della ricerca della pace ostacolata dai bombardamenti della centrale nucleare di Zaporizhzhia ad opera delle truppe russe. Applausi.
E come non soffermarsi sulla questione del vaccino. «Gli italiani hanno agito con senso di responsabilità e spirito civico eccezionali», tralasciando il dettaglio che questo straordinario e spontaneo moto degli italiani è scaturito dalla minaccia di lasciarli senza stipendio e con la morte sociale in agguato.
Dopo 45 minuti ha esclamato: «siamo arrivati alla fine della conversazione». Perché per lui i monologhi sono conversazioni, di gran lunga preferibili a quei pericolosissimi contraddittori in cui gli verrebbero poste domande, a molte delle quali non saprebbe cosa rispondere.
Seguono 105 secondi di applausi, con una commozione che gli marca il volto. Fine.
Una curiosità. In almeno un paio di occasioni si nota che al termine di un periodo letto, del successivo ne abbozza la partenza. Pronuncia una sola vocale o consonante, stop e scatta l’applauso. Prova che alla fine di quel periodo era previsto l’applauso, che puntualmente è arrivato.
Un raro esempio di Propaganda, da inserire come materia obbligatoria in molti corsi di laurea. Un discorso, fatto da un presidente del Consiglio e non dal capo di un partito, infarcito di tecniche di manipolazione e di costanti richiami ad un patriottismo distorto, con una preponderanza di notizie false. Più che a Rimini, pareva di essere a Pyongyang.
Foto da web
Articolo di Antonello Tomanelli
26 Agosto 2022