DI PIERO ORTECA
Torna a crescere la tensione nello Stretto di Taiwan, dopo che ieri hanno fatto la loro ricomparsa delle navi americane. Ma peggio poté la politica. Pensando alle elezioni di Medio termine, a completare l’opera della Pelosi è arrivata a Taipei la senatrice Marsha Blackburn, esponente di primo piano del partito di Trump. Quasi più esagerata dell’ex presidente. Per un seggio in più o per molto peggio?
Più pericolosa la politica degli incrociatori lanciamissili
Arriva un’altra delegazione del Congresso Usa e i cinesi lanciano nuove esercitazioni generali, mentre elaborano ricognizioni strategiche con la Russia. E due incrociatori lanciamissili “hanno effettuato un transito di routine – recita un comunicato della 7ª flotta Usa – attraverso acque in cui si applicano la libertà di navigazione e di sorvolo in alto mare. Tutto questo in conformità con il diritto internazionale”. Inutile dire che i cinesi non la pensano proprio così. Non tanto in punto di diritto, quanto piuttosto perché sostengono che queste “parate”, a loro giudizio, farebbero parte di un piano di “provocazione politica”. In sostanza, a Pechino sono convinti che l’atteggiamento degli Stati Uniti, nei confronti del principio “una sola Cina”, stia cambiando. E a Washington non perdono occasione per ribadirlo. Insomma, è come se cercassero lo scontro, e questa cosa sta facendo perdere le staffe alla dirigenza comunista cinese.
Dopo Nancy, peggio di Nancy
Dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, infatti, sono arrivate altre delegazioni di congressisti americani. Con l’occhio lungo, pensando alle elezioni di Medio termine, a Taipei si sono fatti vedere pure i Repubblicani. In particolare, qualche giorno fa, a completare l’opera della Pelosi ci ha pensato la senatrice Marsha Blackburn, esponente di primo piano del partito di Trump. La signora, tanto per non farsi mancare niente, proprio come la sua avversaria democratica, anzi forse entrando in competizione con lei, ha abbondantemente sproloquiato di politica estera. Finendo di gettare sul fuoco tutte quelle taniche di kerosene che la Pelosi si era risparmiate. La Blackburn, che è componente della Commissione per i servizi armati del Senato, ha incontrato tutti i vertici politici e istituzionali di Taiwan. Ha avuto colloqui con la Presidente Tsai Ing-Wen, con il Ministro degli Esteri Joseph Wu e con il Segretario generale del Consiglio per la sicurezza nazionale, Wellington Koo. E non solo ha offerto il suo sostegno per la difesa di Taiwan, ma ha anche, molto incautamente, parlato di “indipendenza”.
L’indipendenza, l’arbitro e gli interessi
Nell’ultimo mese, un po’ a sorpresa, quattro delegazioni del Congresso americano si sono recate in visita ufficiale a Taiwan. Vanno infatti anche ricordate le missioni del senatore del Massachusetts, Ed Msrkey, e del governatore dell’Indiana, Eric Holcomb. Secondo i cinesi, è proprio questa sorta di accelerazione “istituzionale” a sollevare molti dubbi sulla volontà di Washington di rispettare gli impegni diplomatici presi, che, appunto, riconoscono “una sola Cina”: quella di Pechino. Il resto non è diritto internazionale, ma è solo geopolitica e interesse “di bandiera”, dettato dal principio delle sfere d’influenza. Per molti anni, tuttavia, anche nel periodo della Guerra fredda, tra Cina e Stati Uniti si era raggiunto un modus vivendi, una tregua diplomatica che faceva andare avanti le cose lasciando i problemi su uno sfondo lontano. Negli ultimi anni, però, prima con Trump e poi con Biden, si è assistito a un progressivo cambiamento di dottrina da parte americana. Washington, oggi, è più intollerante con la Cina. E non certo per la questione dei diritti umani, problema che pure esiste. No, lo scontro principale nasce dall’economia e dai tassi di sviluppo e di crescita del Pil cinese, che l’America giudica “inaccettabili”. O, forse, “intollerabili”, perché stenta a digerirli.
Di guerra in guerra, follia politica
Tornando alla cronaca, il risultato pratico di queste continue punture di spillo, da parte Usa, è che Pechino tende a reagire sempre più spesso con un’escalation militare. In questo momento si stanno svolgendo esercitazioni “a fuoco vivo”, nello Stretto di Taiwan, complessivamente molto più massicce di quelle organizzate in occasione della visita di Nancy Pelosi. Il Global Times (versione internazionale del Quotidiano del popolo) di ieri dava la notizia degli aerei impegnati nelle esercitazioni. Contemporaneamente, lanciava una minaccia di sguincio al Comando della 7ª flotta americana, avvisandolo che i suoi incrociatori sono attentamente tenuti d’occhio. È chiaro che questo clima non può far bene al commercio mondiale e a quella che abbiamo sempre definita come “catena di approvvigionamento”. Centinaia di migliaia di tonnellate di merci passano, ogni giorno, da quelle acque e l’altissima tensione non potrà che fare aumentare i noli marittimi e i premi di rischio. Insomma, il risultato finale di queste tensioni, magari costruite per guadagnare visibilità nella politica nazionale, è che i prezzi aumentano a livello globale.
Un dazio che paghiamo tutti
Senza contare un altro pegno, con cui prima o dopo dovremo fare i conti: lo sbilanciamento geopolitico che sta isolando l’Occidente. Periodicamente, il Global Times e il South Chins Morning Post danno notizie di esercitazioni congiunte, di mega-manovre militari organizzate assieme da Russia e Cina.
L’ultima collaborazione tra le due potenze che, ormai, possiamo giudicare a tutti gli effetti “alleate” e nostre avversarie, riguarda la “ricognizione strategica”. Cioè, tra le altre cose, anche l’analisi e l’acquisizione di possibili bersagli lontani.
Articolo di Piero Orteca, dalla Redazione di:
29 Agosto 2022
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