DI PIERO ORTECA
Perché le sanzioni anti-Putin non funzionano. L’economia di Mosca non dà segnali del crollo profetizzato. Gli Usa che meno hanno da temere dalla conseguenze di ritorno delle sanzioni, si interrogano e ne discutono apertamente.
«Have western sanctions against Russia failed?».
In Europa dove si prospettano scenari di guerra sul fronte energetico ed economico, si discute su improbabili rimedi ma non sulle sanzioni stesse.
“Il fronte del dubbio” in America
Dopo la recente copertina dell’Economist, che manifestava scetticismo sull’efficacia delle sanzioni economiche contro la Russia, adesso quello che potremmo definire “il fronte del dubbio” si allarga anche all’America. “Have western sanctions against Russia failed?”, si chiede la rivista The National Interest, ponendosi il problema di una sensazione ormai diffusa di sostanziale inefficacia della guerra commerciale contro Putin. L’analista Marco Episkopos sostiene che “mentre la guerra in Ucraina entra nel suo settimo mese, un numero crescente di politici, esperti e funzionari esprime preoccupazione per il fatto che le sanzioni economiche contro la Russia non siano riuscite a raggiungere l’effetto previsto”.
Bersaglio giusto arma sbagliata
Il Pil di Mosca, nel 2º trimestre, su base annua si è ridotto “solo” del 4%, mentre i dati di giugno suggeriscono che, toccato il fondo, adesso l’economia dovrebbe lentamente riprendersi almeno in alcuni settori, secondo un’intervista rilasciata alla Reuters da Sergei Konygin, di Sinara investment bank. La stessa Banca centrale russa, scrive The National interest, ha adottato misure di difesa efficaci del rublo, che hanno impedito di trasformare questa valuta “in un cumulo di macerie”, come profetizzato dal Presidente Biden a marzo. La rivista ha anche citato uno studio dell’Università di Yale, che dimostra come oltre 1000 imprese occidentali si siano già ritirate dal commercio con la Russia.
Mercato grigio e contrabbando di Stato
Ma nonostante ciò, al Cremlino hanno trovato una sponda efficace in molti Paesi “non allineati” o in ex repubbliche della defunta Unione Sovietica, come Kazakistan, Bielorussia e Armenia. Queste nazioni fanno da “sponda”, offrendo delle triangolazioni per aggirare l’import e l’export. Ad esempio, riescono a fare arrivare benissimo, su tutti i mercati russi, prodotti (di seconda fascia) a tecnologia occidentale. Anche informatici o delle telecomunicazioni. Questo modello di scambi paralleli viene definito “mercato grigio” e garantisce rifornimenti che, per la fine del 2022, vengono stimati potranno raggiungere un volume di 16 miliardi di dollari. Consistente anche quello che potremmo definire “contrabbando di Stato”, con la Cina, l’Iran, la Turchia, l’India e molte altre nazioni asiatiche, africane e del Medio Oriente.
Beffa energia e suicidio europeo
La beffa, sostiene Episkopos, è che dopo l’applicazione delle sanzioni economiche occidentali “i guadagni russi derivanti dalle esportazioni di energia sono saliti alle stelle”. Cioè, mentre paradossalmente il blocco commerciale ha progressivamente strangolato l’economia europea, sul “nemico” ha avuto l’effetto opposto: un’offerta globale minore di energia ha fatto esplodere i prezzi, per cui Putin ha esportato la metà di prima ma ha guadagnato il doppio. Per questo ci sono voluti sei pacchetti di sanzioni, perché nessuno di questi ha mai funzionato sul serio. O, almeno, ci si aspetta un logoramento del sistema-paese Russia nel medio-lungo periodo, mentre l’effetto boomerang sta già ricadendo, sulle spalle di noi europei, in questo momento.
Strategia energetica Ue assente
Durissimo il giudizio della rivista americana sulla strategia energetica attuata dall’Unione Europea: ha seguito “un piano mal concepito”. Ancora prima che Gazprom tagliasse i flussi di Nord Stream 1, aggiunge il giornalista, “i sondaggi hanno mostrato che la maggior parte degli europei, compreso il 49% dei tedeschi, era favorevole a politiche volte a facilitare un accordo negoziale”. E qua entra in gioco Stratfor, probabilmente il think tank di geopolitica più importante (e documentato) degli Stati Uniti. Il titolo del report (di ieri) lancia un allarme da non sottovalutare: “Nell’Est della Germania il malcontento popolare, per la posizione di Berlino sulla Russia, può portare a disordini sociali”. I politici della cittadina di Schneeberg hanno inviato una lettera al Ministro dell’Economia, il “verde” Robert Habeck, avvisandolo che dopo l’introduzione di una nuova tassa sul gas naturale “si rischiano disordini sociali”. E chi vuole capire, capisca. La lettera si spinge oltre e chiede anche al governo “di allentare le sanzioni contro la Russia”.
Stratfor Usa: allarme piazze europee
Secondo gli analisti americani di Stratfor, “questa lettera è importante, perché segnala l’esistenza di malcontento, verso le politiche federali e verso la posizione generale del governo sulla Russia. Un malcontento che potrebbe diventare più diffuso, mano a mano che i prezzi continueranno a salire, e una volta che la tassa sul gas entrerà in vigore, il 1. ottobre”. È stata la nuova coalizione di governo a ideare la tassa, che servirà ad alleviare le perdite degli importatori. Ma i costi saranno scaricati sull’industria e, particolarmente, sui cittadini. Una mossa assolutamente cervellotica, che potrebbe far cambiare gli umori dei tedeschi verso la guerra in Ucraina. Per ora il sostegno nei confronti di Kiev resta maggioritario, anche se sto diminuendo e, soprattutto, si sta differenziando: nei laender orientali comincia a esserci un po’ di insofferenza.
Nell’Italia elettorale, si parla di coalizioni e non di sanzioni, di futuri premier e non di futuri e prossimi disastri economici e sociali. O forse siamo soltanto noi a non esserci accorti di approfonditi e salvifici programmi prossimi futuri.
Articolo di Piero Orteca, dalla Redazione di:
30 agosto 2022
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