DA REDAZIONE
Non starò qui a discutere di politica internazionale, o di storia. Parlerò di Gorbaciov. Torno agli anni ’80, che per noi, anzi per la mia generazione, non sarebbero stati gli stessi senza di lui e dell’indimenticabile Raissa.
Del ‘900 c’è troppo da raccontare. Guerre, sbarchi sulla Luna, genocidi, radio, televisione, internet.
I miti del ’68 per una irriducibile generazione ormai più che 70enne. Una condizione che ha sempre ingelosito quella successiva, gli attuali ultra sessantenni, che stanno sempre a raccontare il loro ’77 con una costanza sconosciuta persino a mia nonna con lo tribbolà dello sfollamento durante la seconda guerra mondiale.
Subito dopo, eccoci, gli over 50, ma under 60. Quelli arrivati dopo, che non possono capire la meraviglia di prendersi a botte in piazza. Visto che tutto il mondo sta scrivendo di Gorbaciov, oggi racconto cosa è stato per noi Gorbaciov. Anzi, cosa sono stati per noi Gorbaciov e Reagan che noi li vediamo come una cosa sola, come quel poster che vidi a Sofia nel 1988, mentre si davano la mano.
Siamo nati a metà degli anni 60 e quindi vissuti a pane, guerra fredda e conquiste spaziali. Il ’77 lo abbiamo sfiorato al liceo, giusto qualche eco dalle classi degli ultimi anni. Nel 1976 ci sono state le Olimpiadi di Montreal e nessuno sapeva bene come pronunciare. Vennero trasmesse a colori e chi aveva il televisore nuovissimo e adatto, si direbbe oggi di ultima generazione, poté vivere quell’emozione. In seguito e per qualche anno il colore venne confinato alle “prove tecniche di trasmissione”.
Veniamo alle Olimpiadi del 1980, a Mosca, boicottate per l’invasione russa dell’Afghanistan (non mi dilungo oltre).
Comunque sia nel 1981 viene eletto Ronald Reagan negli Stati Uniti ed è qualcosa che ci, anzi o forse mi, rimane impressa più dell’attentato al Papa, che avvenne lo stesso anno, peraltro nel giorno del mio compleanno.
L’America per noi era Dallas, intesa non come città, ma come serie televisiva. Praticamente l’ideale erano questi miliardari che vivevano in un posto molto secco, un ranch, e si facevano il bagno in piscina. Si mettevano i tacchi per stare a cena in famiglia. E ci piaceva a noi che avevamo il mare a cinque minuti da casa e cenavamo in ciabatte con ancora qualche granello di sabbia tra i piedi.
In questo contesto venimmo a sapere che Reagan e Gorbaciov si sarebbero incontrati.
In questo incontro tanta parte ebbero i giornali di moda e di gossip, le cosiddette riviste femminili. Altro che quotidianoni e settimanali di politica e attualità.
Raissa in tailleur, Raissa e Nancy. Il dono di Raissa a Nancy. La cena. Le padrone di casa.
Ronald, così alto e americano, l’attore, il cowboy che prende il telefono e chiama Michail.
Michail che risponde, sennò il telefono che ce l’hai a fare. E parlano.
Lo so la politica internazionale è cosa diversa da una cena. Ma noi la cena ci ricordiamo. Raissa e Nancy, due signore simili alle nostre professoresse.
Gli sguardi di Michail e Ronald. Ronald sapeva di fare e di America. Sapeva che avrebbe convinto solo se avesse fatto. E quella mano che porgeva per stringerla a Michail doveva essere una mano callosa, che aveva lavorato altrimenti non sarebbe stata l’America.
Gli occhi di Michail sembravano sempre cercare oltre ciò che aveva di fronte. Non in senso metaforico, in senso fisico. Era chiaro che indietro non si voltava. La Russia anzi l’U.R.S.S. è una cosa troppo complicata, e quelle complicazioni erano dentro di lui, guardava avanti che se ti giri un attimo è tutto oltreumano. La mano che stringeva i calli di Ronald aveva la forza dei pensieri di notte, quando tutto sembra possibile.
Intanto Raissa gli sceglieva la cravatta per il giorno dopo e a noi quello interessava di più.
La sua macchia sulla testa, una “voglia” che in una vignetta prese la forma dell’America.
Quella macchia piacque tanto, lo rese vicino agli uomini, che la Russia non lo era.
Mi è dispiaciuto leggere della sua scomparsa. Se ne va un mondo che non si voltava indietro.
Articolo di Maria Corsetti, dalla Redazione de: