DI RINALDO BATTAGLIA
E’ il 4 settembre 1943. Il giorno che non c’è perché non c’è mai stato.
Lasciate perdere le ricerche su wikipedia o google, non troverete nulla. Dovreste caso mai cercare tra gli archivi storici alla voce ’irresponsabilità’ o – perché no? – “disprezzo” da parte di chi allora deteneva il potere, “per conto del popolo italiano”, almeno così si dice o ti insegnano da ragazzo a scuola. Ma se poi ci si ferma un attimo a ragionare, si capisce che era tutto scontato, quasi inevitabile.
Piero Calamandrei – uno che ha vissuto sulla propria pelle quelle giornate e probabilmente una sua eredità la troviamo assorbita anche negli articoli della nostra Costituzione, della cui nascita è stato di certo una ‘pietra angolare’ – un giorno scrisse 4 righe sul fascismo, su quel buio ventennio che precedette quel ‘non-giorno’ del 4 settembre 1943: “Fra le tante distruzioni di cui il passaggio della pestilenza fascista è responsabile, si dovrà annoverare anche quella, non riparabile in pochi anni, del senso della legalità. […] Per vent’anni il fascismo ha educato i cittadini proprio a disprezzare le leggi, a far di tutto per frodarle e per irriderle nell’ombra.” (…)
Come noto il famoso “armistizio” dell’8 settembre 1943, di fatto, non è mai esistito in quanto tale. E’ errata la data ed il termine tecnico. Venne firmato – o, meglio, ci costrinsero a firmarlo – a Cassibile, nella Sicilia già da metà luglio “occupata” dagli Alleati – il 3 di settembre, un venerdì pomeriggio di sole, verso le 17.30. Cinque giorni prima, quindi, di quando il gen. Ike Eisenhower alle ore 18,30 (italiane) dell’ 8 settembre, da radio Algeri, informasse al mondo intero – e quindi anche ai nazisti – della resa dell’Italia.
Badoglio sarà persino sorpreso, preso alla sprovvista e dovrà, in fretta e furia- pensate – informare personalmente anche gli italiani e soprattutto i soldati italiani in guerra (oltre 2 milioni allora). Perché è regola militare o di cortesia che siano i propri capi – e non il nemico, come ancora risultava quel giorno Eisenhower – a dare notizie del genere, per correttezza, autenticità, sicurezza di tutti. Forse solo per “dignità”. Il proclama di Badoglio sarà da lui letto, alla radio da Roma, alle ore 19,42:«Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.» Discorso quasi confuso, con parole buttate lì alla rinfusa, sembra a caso. E aveva avuto ben 5 giorni a disposizione per trovarle. Durerà 3 minuti.
Alle 19.45, ossia un’ora e 15 minuti dopo che gli altri soci – i nazisti – lo avevano saputo. 75 minuti di colpevole ritardo, 75 minuti che si pagheranno a caro prezzo. Nel frattempo gli “amici” di prima – e ora dalle ore 18,30 – diventati sorprendentemente “nemici” erano già intervenuti, con idee chiare e piani precisi. Si chiama “piano Achse” (Asse in tedesco, con ovvio riferimento all’Asse Roma-Berlino e al Patto d’Acciaio tra Hitler e Mussolini firmato il 22 maggio 1939).
Si chiama “piano Achse” e i nazisti lo conoscono e lo studiano da mesi, già dal 9 maggio 1943 e meglio ancora il 21 maggio, quando Hitler e i suoi uomini di vertice (il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, il gen. Enno von Rintelen, il gen. Alexander Lohr) cominciano a muoversi, preparando le contromisure per quando l’Italia si arrenderà agli Alleati. “Quando” si arrenderà, non “se” si arrenderà…la resa è scontata, certa, per gli uomini del Fuhrer. Era solo questione di tempo.
Quel che succederà per i nostri soldati, soprattutto quelli allora in guerra all’estero (Grecia, Jugoslavia, Francia… il resto era già perso), è oramai risaputo.
Parliamo di oltre 1 milione di uomini, trovatisi improvvisamente soli e senza ordini. Soli e senza alleati: i nemici di prima ora diventati amici.. non ci sono, gli amici di prima sono ora nemici e ti sparano, i nemici dei territori (slavi, greci) erano nemici prima e rimangono nemici ancora e ti sparano ancora e di nuovo. Anzi, più di prima. Hanno la bava alla bocca e mille vendette da realizzare dopo i nostri crimini fascisti in Grecia (Domenikon, Farsalo) e soprattutto in terra di Jugoslavia. Non è un caso che le prime foibe – chiamate jaquerie o di vendetta (quelle ideologiche e comuniste sono del ‘45/’47) – inizino già il 9 settembre ‘43 e siano situate soprattutto nella bassa Istria, poco lontano dai campi di concentramento fascisti di Rab, Molat, Buccari, Vodice…, poco lontano da Podhum, Lubiana, Vrana, Skrljevo, Milas, Brnelici, Zoretici, Kukuljani, Ponikve, Mavrinac, Podkilavac… Nomi che noi non conosciamo, ma i cimiteri degli slavi sì.
La ‘non-potenza’ militare italiana si scontra in poche ore con la ‘super-potenza’ militare dei nazisti. Preparati, esperti, decisi e vogliosi di vendicare il tradimento di Badoglio. Da quel giorno tutte le loro disgrazie saranno sempre imputate all’Italia, traditrice del Patto d’Acciaio, dove all’art. 5 si sanciva: “Le Parti contraenti si obbligano fin da ora, nel caso di una guerra condotta insieme, a non concludere armistizi e paci se non di pieno accordo fra loro“.
Il Patto d’Acciaio criminale, firmato da Mussolini 4 anni prima, sarà ‘un’altra pietra angolare’ delle disgrazie per gli Italiani e soprattutto per i nostri soldati. Gli articoli così capestro, erano troppo chiari. Chi non avrebbe rispettato il Patto era destinato ad una brutta fine. A Roma lo sanno. Badoglio, Roatta, Ambrosio, il Re lo sanno e fuggono di nascosto, come ladri, per Brindisi, allora già in mano agli Alleati, aprendo – con l’esempio – la strada poi anche a Mussolini, che farà altrettanto il 27 aprile 1945, verso la Svizzera.
70 anni dopo, il comandante Schettino farà lo stesso con la Concordia che sta affondando, ma questi era responsabile della vita di “sole” 4.229 persone non di un intero paese di 45 milioni di italiani.
Siamo al ‘vita mea, mors tua’ o al “si salvi chi può”. E gli altri? Chi è soldato in Italia cerca scampo e rifugio tra le famiglie. Ma chi è all’estero? Dove possono scappare? Verso chi e verso dove?Nelle isole greche si riesce a proteggersi meglio, i nazisti non sono subito presenti in massa e i nostri soldati tentano una eroica resistenza. Ma alla fine, quando mancheranno le munizioni, sarà catastrofe: Cefalonia, Rodi, Leros, Kos, ma non solo. Nella terraferma, già prima del proclama di Badoglio, molti caserme italiane sono circondate.
Il proclama poi di Badoglio – diciamolo – è ridicolo: non dice cosa fare o, meglio, all’ultima riga: “Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.» fa capire che i nostri soldati sono autorizzati a sparare ai nazisti solo e soltanto se attaccati, solo in difesa, non in prevenzione. Perché mai? Sparare ai nazisti poi? Non vengono neanche nominati, si parla per “sottintesi”. I “pizzini” di Salvatore Riina, Totò ‘u Curtu, 50 anni dopo, saranno meno “omertosi” e più comprensibili.
Le prime notizie di molti giornali italiani del giorno 9 settembre sono coerenti e – pensate – parlano di successi contro il “nemico anglo americano”. Se non fossimo in una tragedia ci sarebbe veramente solo da ridere o, meglio, da piangere.
I nostri soldati invece saranno, in poche ore, disarmati e già, in pochi giorni, spediti nei lager della Germania, promettendo loro peraltro la destinazione verso casa. Traditi un’altra volta. Verranno – da Hitler – il 23 settembre battezzati come ‘IMI’, col consenso di Mussolini, dal 12 settembre ritornato in gioco.
In pochi mesi saranno 810 mila come qualche affermato storico tedesco (Gerhard Schreiber) scriverà anni dopo. Forse di meno, forse di più. In ogni caso il 40% delle Forza Armate italiane alla sera dell’8 settembre, un 70/75% dei soldati ed ufficiali quella sera presenti su terra straniera. Schreiber li chiamerà meglio come “gli schiavi di Hitler”. Eppure, nelle zone di competenza italiana (Pindo, Grecia nord occidentale, Dodecaneso, Montenegro, Istria, Dalmazia, Slovenia) gli italiani sono in netta e chiara maggioranza rispetto ai nazisti. Mediamente, in quel momento e in quei territori, l’alleanza nazifascista consisteva tra le truppe in un rapporto di 8 italiani a 2 tedeschi, talvolta anche 9 a 1. Ma se non hai ordini, se il “nemico” ha l’effetto “sorpresa” ed è preparato da mesi, se il nemico è tale e tu lo credi ancora “amico” che fai? che carte nel mazzo ti rimangono? Non conti nulla o una via di mezzo tra il nulla ed il niente.(…)
Dal 5 al 7 settembre oltre 130 aerei B-17 attaccarono Civitavecchia e Viterbo. Napoli, persino, non solo venne colpita da aerei alleati il 6 settembre, ma anche – pensate – nella prima mattinata del giorno 8.
Morti e distruzioni da parte dei nuovi “amici”, anche dopo che avevamo firmato davanti a loro la resa, ma nessuno “dall’alto” l’aveva ancora colpevolmente ufficializzata a chi era operativo “nel basso”. Morti che potevano ‘non morire’, distruzioni che potevamo evitare.(…)
Facile fare i fascisti nel Patto d’Acciaio e lasciare poi nella fogna gli italiani. Facile, ma era solo quanto imparato nella scuola del Duce, nei 20 anni precedenti di buio, al suono anestetizzante di “Dio, Patria & Famiglia”. Tutto scontato, quasi inevitabile.
Come aveva ragione Piero Calamandrei! Si, non c’è nulla da festeggiare o di buono da ricordare in quel ‘non-giorno’ del 4 settembre 1943. Troppo dolore, troppa tragedia, troppi morti, troppo silenzio ed ignoranza, nel giorno che non c’è, perché colpevolmente non c’è mai stato.
4 settembre 2022 – Rinaldo Battaglia, liberamente tratto da ‘La colpa di esser minoranza’ – ed. AliRibelli – 2020 e pagine libere da ‘L’Inferno è vuoto’.
foto: Cassibile (Siracusa), 3 settembre 1943, ore 17.30. Dopo la firma dell’armistizio fra l’Italia e le potenze alleate, posano per una foto nell’oliveto presso la tenda dove si è svolta la cerimonia.
Da sinistra, il brigadiere generale inglese Kenneth Strong, il generale italiano Giuseppe Castellano, il generale statunitense Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA) e il diplomatico Franco Montanari, che aveva svolto le funzioni di traduttore e interprete per Castellano. (foto da wikipedia).