DI RINALDO BATTAGLIA
Il 22 marzo 1933 Hitler ed Himmler aprirono il primo lager nazista a Dachau. A detta di tutti fu il primo vero campo di concentramento al mondo, il nuovo primo passo dell’uomo verso il baratro ed il demonio. Dachau fu l’ apripista: prima esistevano solo ‘campi di prigionia’ dove si detenevano i prigionieri di guerra o i presunti tali. Ora con Dachau si progredì: lì venivano deportati e destinati a morire tutti coloro che erano considerati “inadatti” a chi deteneva il potere o che erano giudicati a priori “indegni a vivere”.
Dachau fu creato nel 1933. Ma fu davvero il primo?
Chi ha studiato il fascismo di Mussolini dovrebbe conoscere una parola non di facile pronuncia e quindi anche difficile da memorizzare. E in Italia la memoria storica – lo si sa – non è mai stato il nostro forte. In particolare sul fascismo. Ancora oggi c’è chi cerca invano la sua “matrice”. La parola magica, o meglio maledetta, è PERDASDEFOGU. Sfido chiunque di voi se ne ha mai sentito parlare. Perdasdefogu era un campo, 100 km da Nuoro e 100 da Cagliari, al confine in quegli anni tra il nulla ed il niente, chiamato anche “Palma da Foghesu”, forse per renderlo più esotico o meno macabro.
Venne reso operativo soprattutto dal 1938, ma già dall’inverno 1922 (vi dice nulla come data il 1922 ?) il regime del Duce – appena salito al potere forse anche prima dei 50 giorni – vi fece affluire con la forza ed usando la forza, nel controllo e nella gestione, una serie di zingari, rom e sinti, ma anche giostrai, circensi, che man mano venivano ‘raccolti’ dalle nuove terre italiane: il Trentino e soprattutto l’Istria e la Dalmazia. Raccolti come spazzatura e portati in discarica. Arrivarono subito a centinaia, ma rimangono pochi documenti, ora. Con le politiche razziali del 1938, Perdasdefogu – la discarica – ebbe poi un successo enorme, neanche fosse oggi la vicina Costa Smeralda.
Se del crimine sugli ebrei, tramite la shoah, finalmente negli ultimi decenni qualcosa è stato insegnato ai nostri figli, non altrettanto si può dire del crimine sugli zingari, sinti, rom, nelle varie singole etnie o famiglie. “Zingari” in genere, quelli che avevano il distintivo e matricola Z ai tempi di Hitler, per capirci.
Nessuno ne parla, non ho visto film a mia memoria. Forse perché la “shoah” del popolo zingaro non è stata considerata come “problema razziale” ma quasi difesa o peggio prevenzione della “piccola delinquenza”, una delle classiche etichette con cui siamo stati abituati ad identificare sempre gli altri: affaristi e crumiri gli ebrei, ladri e sporchi i rom. Sbaglio?
Solo ad Auschwitz nel famoso campo B 2 E, quello a fianco dei laboratori di Mengele, ne uccisero 23 mila, di cui solo 3 mila nella notte del 2 agosto 1944. Poi ci sarebbero i morti di Dachau.
Giovanna Boursier, una grande storica, nei suoi libri quantifica in non meno di mezzo milione i rom e zingari uccisi dal nazifascismo, durante la Seconda Guerra mondiale E molti di questi arrivavano dalla filiera italiana. Non nascondiamocelo. Non meno di un buon 5% si dice. Se così fosse sarebbero pari a 20/25 mila, il doppio dei morti del crimine maledetto delle foibe, più dei morti innocenti nella nostra maledetta guerra civile del ‘43-’45. Sorpresi?
Non ho visto comizi politici di recente ricordando questo eccidio. E voi? Forse elettoralmente non è utile. Non porta voti. Anzi, li fa perdere.
Mezzo milione che andrebbero poi integrati dalle morti nei paesi dell’est, dove al tempo di Stalin non è che il “sentimento” fosse diverso. Ci mancano numeri, non la certezza di massacri su larga scala. Altri vari storici, come il grande Luca Bravi, si sono molto interessati negli ultimi anni arrivando a tristi conclusioni, dove l’amarezza ed il dolore si confondono in un unica cosa. Il giornalista Daniele Paba sulla Nuova Sardegna il 15 febbraio 2017 ritornava sull’argomento e parlava di “parrajmos”, termine che in romanì, lingua rom, significa “devastazione”. La devastazione dei rom e dei sinti applicata su scala nazionale dal regime fascista, prima di quello nazista, tra l’omertà , il silenzio, la complicità della generazione dei nostri padri. Nessuno ne ha mai parlato. Tanto meno la Chiesa. Dov’era Pio XII? Non aveva a quel tempo chiese, diocesi, preti in Sardegna?
Giovanna Boursier in Triangolo Rosso nel n. 1/98 – gennaio 1998 – raccontava la storia di fame, fame e miseria, di Rosa Raidich e sua figlia Lalla, nata a Perdasdefogu il giorno dopo la Befana del 1943, ovviamente lì in quanto deportata dall’Istria, non dai nazisti di Hitler ma dagli italiani di Mussolini. Rosa fu una delle rarissime voci di zingari deportati e sopravvissuti alla seconda guerra mondiale. Rosa fu una dei testimoni che vissero e raccontarono l’internamento in Italia, sotto la dittatura fascista, di un popolo sempre perseguitato, ignorato e dimenticato dalla memoria. E quella fu una delle pagine più nere della storia del nostro paese. Come per gli ebrei. Perchè quel 5 settembre 1938 con le leggi razziali dettate dal Duce, controfirmate dal Re ed accettate passivamente dalla generazione dei nostri genitori e dei nostri nonni, abbiamo toccato con un dito l’inferno. E Perdasdefogu era lì a confermarlo, perché era davvero il posto prima dell’inferno.
A metà strada fra Cagliari e Nuoro, venne scelto in quanto isolato, “irraggiungibile per mancanza di strade”. Era un villaggio povero, con vite da primitivi, solo capre e fagioli, niente acqua corrente e niente elettricità’. Nessun mezzo di trasporto a parte il carro trainato dai buoi. Nelle case si dormiva sulle stuoie. Un paese dove «anche una ghianda può sembrarti buona come una ciliegia» e «se vuoi riempirti lo stomaco vai alla fonte a bere». Così scriveva, con un velo di poesia, Nuova Sardegna il 3 aprile 2011 per spiegare perché proprio lì. Di peggio non ci poteva essere. Solo capre e fagioli. Il posto giusto, prima dell’inferno. E se parlavi raggiungevi l’inferno sulla terra, quello vero, quello di Auschwitz.
Il rapporto coi contadini locali era insistente ma non per colpa loro. Un impiegato comunale in pensione, Bonino Lai, allora ragazzo, ricordava infatti: «La miseria era divisa ugualmente in tutte le famiglie, ma in ogni casa c’era posto per tutti, soprattutto per chi arrivava da fuori. Erano le ordinanze del periodo fascista che limitavano i rapporti fra italiani e zingari».
Dopo l’8 settembre molti campi di concentramento fascisti in Italia furono smantellati, anche per l’arrivo degli alleati. A Perdasdefogu smantellare però non fu necessario, non c’era nulla. Era il nulla, ossia proprio il posto giusto, prima dell’inferno, tra il nulla ed il niente. Solo capre, fagioli e zingari deportati a morire. Solo capre, fagioli e zingari: nessuno di loro meritava per il fascismo di esser ricordati. E per noi?
Quando ricorderemo Dachau teniamoci un pensiero anche per la nostra Perdasdefogu, perché come scriveva a suo tempo un uomo, molto interessato suo malgrado alle vicende razziali, quale Primo Levi: “il nazismo in Germania è stato la metastasi di un tumore che era in Italia”.
5 settembre 2022 – Rinaldo Battaglia
liberamente tratto da ‘La colpa di esser minoranza’ – ed. AliRibelli – 2020
Foto nel titolo da “Festival dei Diritti Umani”