DI ANTONELLO TOMANELLI
Il Bill of Rights inglese del 1689 sancì la fine della monarchia assoluta, quella che vedeva il Re decidere su tutto, coadiuvato da una miriade di consiglieri. Tra le assolute novità del Bill: una Camera, quella dei Comuni, liberamente eletta, il rifiuto di sottostare ad un Re cattolico, l’abolizione del potere regio di abrogare una legge emanata dal Parlamento.
Chi scrisse il Bill of Rights era gente piuttosto arrabbiata con la monarchia. L’unico contentino che gli lasciarono, oltre ad una cospicua rendita vitalizia per sé e i suoi familiari, fu la possibilità di inserirsi nell’iter di approvazione di una legge del Parlamento. Opporsi per modo di dire, perché se il Parlamento avesse insistito nel volerla emanare, il monarca avrebbe dovuto chinare il capo.
Dalla emanazione del Bill of Rights, una sola volta la Corona ha opposto il veto ad una legge del Parlamento. Era l’11 marzo il 1707, quando la Regina Anna si oppose allo Scottish Militia Bill, che dislocava truppe in Scozia. Da allora, nessun sovrano inglese si è più permesso di mettere becco nelle decisioni del Parlamento. Come è giusto che sia.
Cosa potrà dunque fare Carlo III, a cui tocca il ruolo di Re? Sarà un capo di Stato, ma formale e cerimoniale. Nominerà il primo ministro, ma che dovrà essere sempre quello indicato dal partito di maggioranza alla Camera dei Comuni. Avrà comunque il diritto di essere informato sulle iniziative di governo ed esprimere pareri.
E questo anche se, secondo le convenzioni, Liz Truss dovesse varcare il cancello di Buckingham Palace per comunicare al sovrano che lancerà l’atomica contro la Federazione Russa. Carlo III, più che inveire, o supplicarla, o accopparla all’istante, non potrà fare. Perché è il primo ministro a custodire la famosa valigetta e a gestire l’esercito insieme al ministro della Difesa, anche se formalmente il capo dell’esercito è Carlo III.
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