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DI PIERLUIGI FERDINANDO PENNATI
Non so se ve ne siete accorti, ma nel silenzio del mainstream le banche centrali, legate a doppio filo con i grandi fondi di investimento, stanno alzando i tassi di interesse del denaro.
Beh, se non lo avete ancora fatto, controllate, perché in questo modo sarà più costoso il debito pubblico e più difficile il credito così che i fondi speculativi che operano “allo scoperto”, ovvero senza bisogno di capitale, potranno comprare a costo zero asset di imprese in difficoltà proprio a causa dell’alto costo del finanziamento delle loro attività.
Il risultato è che chi ha bisogno di fondi per lavorare, ovvero le imprese vere che producono beni secondo le regole dell’economia reale, dovranno pagare sempre più interessi all’economia virtuale e svalutare i loro crediti, mentre i grandi fondi hedge se le mangeranno senza necessità di alcuna risorsa precostituita, per poi rivendersele, magari a pezzi, speculando e mettendo le perdite virtuali nei costi reali creando nel contempo ulteriore disoccupazione.
Solo per la memoria, questo è uno degli effetti a lungo termine della legge che ha abolito nel 1999 la separazione bancaria, legge che in Italia è uscita dalla esperta penna di un signore chiamato Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia.
Tutto questo denaro, ovviamente, è sottratto anche al risparmio istituzionale, ovvero genera maggiori costi per lo stato, i cittadini ed il consumo, con il risultato di una depressione generalizzata e difficile, se non impossibile, da recuperare in modo indolore.
Narrazione entusiasta sul mainstream
Ma se non vi siete accorti di tutto ciò è solo perché il mainstream, pilotato dall’interesse dei grandi mercati (quali scegliete voi), ha generato la pubblicazione su molti giornali italiani di una narrazione quasi entusiasta che vede un aumento del PIL della nazionale dello 0,5% contro le previsioni che lo stimavano in calo dello 0,2%, aggiungendo persino come i dati italiani siano migliori di quelli di altri Paesi europei.
Grande festa? Forse no, alcuni economisti, ovviamente, non sono d’accordo e, mentre io sono solo un osservatore, sostengono che la “crescita” del nostro PIL dipenderebbe quasi interamente dall’inflazione che sta gonfiando prezzi e risultati, facendo sì che il suo maggior incremento sia nei fatti solo l’effetto di questi aumenti che, per contro, stanno affamando la popolazione, in particolare a quella a basso reddito.
Inoltre le previsioni Istat e di altri istituti di ricerca sarebbero viziate anche dal fatto che in presenza di prezzi ormai impazziti e fuori controllo, che non riflettono più in alcun modo il reale andamento dell’economia, fare stime credibili sia del tutto impossibile.
La crisi colpisce prima in basso
Così facendo, le previsioni economiche, sia sul versante pubblico che su quello di famiglie e imprese, sarebbero ora tutte e del tutto fuorvianti, senza dimenticare che tra non molto il nuovo governo uscito da una entusiastica maggioranza assoluta dovrà rilasciare un DEF per recuperare una situazione nazionale di forte crisi… con quali effetti lo vedremo l’anno prossimo, non senza osservare subito che se la crisi colpisce come sempre per prima in basso, ormai è sempre più evidente come l’inflazione, soprattutto energetica, stia erodendo anche i ceti medi e quelli medio alti.
Ovviamente, in contemporanea, il timore di Confindustria si riflette sulla spirale inflazione-salari che vede gli industriali preoccupati che un possibile adeguamento dei salari al costo della vita possa generare nuova inflazione che così non avrebbe mai fine, sebbene, dati alla mano, l‘inflazione ha oggi stime medie del 12% mentre gli aumenti salariali negli ultimi due anni hanno segnato solo una media del 2% e con le attuali regole di indicizzazione il quadro per i lavoratori non appare destinato a migliorare.
Mentre la crisi dilaga senza soluzione apparente, banche e mercati speculativi possono sempre più banchettare sui resti dei nuovi e vecchi poveri come un moderno subdolo sceriffo di Nottingham che prende ai poveri per dare ai ricchi, ma questa volta non è un romanzo e nemmeno un gioco.