FEMMINICIDIO, QUANDO LA NARRAZIONE DISTORCE LA REALTÀ

DI PATRIZIA CADAU

“Rodolfo Anastasio soffriva per la separazione dalla moglie ed era spesso giù di morale. Tutti gli amici lo raccontano come un uomo buono, un grande lavoratore, pochi giorni di ferie l’anno e un grande amore per la sua famiglia” Così la stampa nel racconto dell’ultimo femminicidio in provincia di Salerno.

Io ci credo: è la normalità della violenza per cui uomini apparentemente normali sono in realtà macchine ad orologeria progettate per uccidere, dominare, avere l’assoluto controllo di chi gli sta accanto. Non credo però, non ci credo più, che non ci siano stati “segnali” e soprattutto non credo che questi siano casi isolati, semplici coincidenze. A monte esiste una stratificazione culturale che legittima la violenza, che educa al predominio e alla sopraffazione del paradigma maschile sul femminile.

Questi uomini miti, rimangono tali solo se non contraddetti, se assolutamente certi di poter disporre della libertà altrui, altrimenti uccidono, e quando non ci riescono, minacciano, intimidiscono, e lo fanno pure quando si trovano di mezzo i figli a tentare di difendere le madri, senza pietà, senza arretrare mai, com’è accaduto stamattina e come accade di solito. È un problema culturale, politico, giuridico che se non ammazza lascia migliaia di donne ai margini della sopravvivenza.

La violenza è questa roba qua, ed è violenza anche negare che esista, ridurla a conflitto, evocare termini come gelosia e amore, raccontare tutte le volte di poveri cristi che hanno perso la brocca come anatroccoli disorientati perché le loro compagne hanno deciso altro.