DI MARIO PIAZZA
Quando quattro anni fa vidi quella mezza dozzina di sciamannati sul balcone di Palazzo Chigi che annunciavano di aver abolito la povertà non sapevo se ridere o piangere e nelle orecchie mi risuonava quella parola “cittadinanza” che da sola rappresentava l’estromissione degli immigrati dalla categoria umana a cui prestare soccorso.
Era il governo gialloverde, quello in cui Giuseppe Conte non toccava palla tra un Di Maio che di povertà aveva abolito la propria e un Salvini sterminatore di non-bianchi. Uno spettacolo indecoroso almeno quanto le disfunzioni che una legge scritta con i piedi avrebbe causato, pensavo allora che avevamo toccato il fondo ma mi sbagliavo.
Nei quattro anni trascorsi la legge è stata ritoccata qua e là, la bomba Covid ha impedito che fosse perfezionata come avrebbe dovuto ma senza di essa qualche milione di italiani sarebbe stato spedito a chiedere l’elemosina sui gradini di una chiesa o magari a procurarsi l’indispensabile per sopravvivere con mezzi illegali.
Mi sbagliavo, non potevo prevedere allora questo governo di superdestra a cui nella nostra democrazia malata solo un italiano su quattro ha conferito il potere. Un governo che vuole gettare la parte più debole del paese nello stesso recinto di schiavi da sfruttare in cui Salvini si era accontentato di rinchiudere gli immigrati. E’ questo il disegno, non lasciatevi distrarre dalle chiacchiere sui fannulloni.
In gran parte dell’Italia un lavoro vero, con paghe accettabili, con orari sopportabili e in condizioni di sicurezza semplicemente non c’è e ci sarà sempre meno grazie alle spinte regionaliste del nord e all’incivile rifiuto di un salario minimo stabilito per legge.
Di questo si tratta, come in ogni altro paese fascista della storia i poveri altro non sono che carne da macello.