GIACCA NERA

DI ALFREDO FACCHINI

REDAZIONE

 

 

Oggi in Qatar, nel mondiale della vergogna, scende in campo la nazionale dell’Iran. Sono in molti ad attendersi un gesto plateale contro il regime teocratico. Gli avversari, gli inglesi, hanno già annunciato: “prima della partita ci inginocchieremo”.

Il 27 settembre il “Team Melli”, il nome con cui è conosciuta la nazionale, aveva indossato una giacca nera come segno di lutto, prima della partita contro il Senegal. E il 10 ottobre contro il Nicaragua quasi tutti i componenti del team erano rimasti in silenzio durante l’inno.

C’è da sottolineare che il calcio è vissuto in modo viscerale da milioni di iraniani. Tutto il paese sarà incollato davanti alla tv. In occasione del debutto della nazionale, in Iran le scuole e le università resteranno chiuse per ordine del regime che teme azioni di protesta degli studenti.

A parlare a nome di molti suoi compagni c’è Sardan Azmoun, stella della squadra del ct Queiroz, che gioca nel Bayer Leverkusen: “Essere cacciato dalla nazionale sarebbe un piccolo prezzo da pagare rispetto anche a un solo capello delle donne iraniane. Non ho paura di essere imprigionato. Vergogna a voi per aver ucciso il popolo così facilmente e viva le donne dell’Iran.

Azmoun è un uomo coraggioso, il regime ha avvertito i calciatori che saranno severamente puniti se in Qatar insceneranno altre forme di protesta, così come sono coraggiose le componenti della squadra di basket femminile, “Canco”, del campionato dell’Iran, che si sono fatte fotografare senza l’hijab, il velo tradizionale.

L’istantanea è subito diventata virale. Farzaneh Jamami, allenatrice del “Canco”, ha scritto su Instagram: “Insegna a tua figlia che cose come i ruoli di genere non sono altro che sciocchezze. Insegna che sei una persona preziosa e insostituibile. Se ti dicono il contrario, non crederci. Dì loro: non nasconderti. Alzati, tieni la testa alta e mostra loro che cosa sai fare! Digli che sei potente e capace. Che sei una donna libera”.

Secondo la Ong “Iran Human Rights”, dall’inizio delle proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, sono stati 378 i morti e oltre 15mila gli arresti. 43 i bambini e gli adolescenti uccisi. L’ultima vittima di questa lista è Kian Pirfalak, 9 anni: viaggiava insieme con i genitori sull’auto che è stata crivellata di colpi dalle forze di sicurezza.

Intanto la “Corte rivoluzionaria” di Teheran ha emesso la sesta condanna a morte nei confronti di un manifestante.