DI GIANCARLO SELMI
Non mi interessano le ragioni geopolitiche, né quanto c’entri la CIA nelle manifestazioni Iraniane. Dico che quel regime, basato su logiche medioevali e su fondamentalismi religiosi, è rivoltante. È rivoltante l’uso della violenza per reprimere il dissenso. È rivoltante l’uso smodato della pena di morte. E qualsiasi progresso sociale, quantunque ci fosse, non compensa la devastazione riveniente dalla mancanza di libertà. Delle più basilari forme di libertà, da quella di esprimere un’opinione, a quella di far vedere i propri capelli.
È incredibile come, nel 2022, ci troviamo costretti a discutere e commentare cose che i primi movimenti illuministici, alla fine del 1700, avevano già superato.
Detto questo, però, fare commentare a Farah Diba, ciò che avviene in Iran oggi, è pessimo giornalismo. Il marito, lo Scià Mohammad Reza Pahlavi, represse duramente e con la stessa (forse anche maggiore) violenza, le manifestazioni di opposizione al suo regime. Di un popolo affamato e costretto a condizioni di vita assurde, mentre lui e la stessa Farah Diba, sfoggiavano vestiti cuciti con l’oro e con migliaia di pietre preziose incastonate. Pochissimi straricchi e l’intera popolazione indigente, questo era l’Iran dello Scià.
Mantenuto al potere, per mere ragioni geopolitiche, dai presunti “guardiani della democrazia”. Una rivoluzione popolare lo costrinse a scappare insieme al suo regime corrotto ed affamatore. Oggi, purtroppo, come quasi sempre accade, chi lo ha sostituito ne ha ereditato i metodi, aggiungendo il fanatismo religioso, l’intolleranza ed il fondamentalismo. Confermando un assioma incontestabile: “il potere genera mostri”.
Una cosa, però va detta ed è certa: Farah Diba non può insegnare assolutamente nulla.
E queste interviste, spacciate per grande giornalismo, date in televisione senza nessuno scrupolo informativo, dimostrano ancora una volta, quanto sia caduta in basso la qualità del nostro giornalismo.