DI ANTONELLO TOMANELLI
Fu separata dal padre e dai nonni non appena scesa dallo speciale che da Milano Centrale l’aveva portata e scaricata all’interno del campo di concentramento di Auschwitz, all’età di tredici anni. Non li rivide mai più, la miracolata Liliana Segre, liberata dall’Armata Rossa dopo tre anni passati a fabbricare munizioni per la Siemens senza retribuzione.
Oggi si scontra con Chef Rubio, che risponde alle dichiarazioni della senatrice a vita sulla decisione del Governo Meloni di reintegrare quei medici che erano stati sospesi perché non vaccinati: «Sui no-vax sarei stata molto più severa», aveva detto.
Una come Liliana Segre, con tutto quello che ha passato, dovrebbe comprendere alla perfezione cosa significa essere discriminati. È questo il concetto base su cui si fonda la critica via twitter di Chef Rubio, che la senatrice ha deciso di affidare al giudizio della magistratura: «Molto più severa quanto, Liliana Segre? Roba de fustigazione e manciate de sale a coprire le ferite? Gogna? Vergine di ferro? Giusto per capire i tuoi gusti. Auschwitz, che schifo».
Chef Rubio è un personaggio controverso e contraddittorio. Da sempre a fianco del popolo palestinese nella lotta contro l’occupazione israeliana, ma anche apologeta di Hamas, che nel suo statuto si prefigge la distruzione dello Stato di Israele e l’uccisione di tutti gli ebrei, con alcuni dirigenti che definiscono l’Olocausto «la più grande delle menzogne», ha un pesante conto in sospeso con la Segre proprio sulla questione palestinese, soprattutto da quando la senatrice, sollecitata dallo stesso Rubio ad esprimersi, aveva risposto «non mi occupo di politica», nonostante le prese di posizione in favore dell’Ucraina.
Cosa Liliana Segre intendesse per comportamento molto più severo nei confronti dei medici sospesi, in assenza di un suo specifico chiarimento, rimane un mistero. Ma qualcosa di molto più severo della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, viene spontaneo individuarlo quanto meno nella perdita definitiva del posto di lavoro e nella radiazione dall’albo. Una soluzione comunque molto dura quella auspicata dalla Segre, che finisce per collocarsi in una posizione non antitetica a quella proposta, anche se con indubbia ironia, da Chef Rubio nel suo tweet.
Un tweet che non può considerarsi un insulto gratuito, che è l’area nella quale la critica deve sconfinare per essere illegittima, ossia diffamatoria.
Qualsiasi critica che abbia un senso logico è protetta dall’art. 21 della Costituzione, che tutela la libertà di pensiero, anche se la fustigazione, le manciate di sale sulle ferite, la gogna, la vergine di ferro, si collocano ben al di là di quanto apparentemente auspicabile da Liliana Segre. La quale, dal canto suo, quando invoca una punizione esemplare per il medico che dissente da quella scienza ufficiale che, secondo l’art. 33 della Costituzione, non può esistere, pare quasi non aver fatto sufficiente tesoro della tragica esperienza vissuta in gioventù.