L’OMBRA DELLA KAFALA SU MESSI

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Il capitano della nazionale di calcio che ha appena vinto i Mondiali alza la coppa al cielo: ecco il momento in cui ogni connazionale si riconosce perfettamente in lui, provando uno smisurato orgoglio per quanto fatto vedere sul campo con quella maglia. Ma se la maglia, in quel preciso istante, viene coperta da una tunica, allora significa che sei in Qatar.
Mai si era vista, in quasi cent’anni di edizioni, una scena del genere. Leo Messi, guardato da almeno tre miliardi di persone, che permette all’emiro del Qatar, nel momento più bello per un argentino, di coprire la propria maglia con il Bisht, che per quanto possa essere regale e un onore indossarlo, per un argentino rimane sempre uno straccio qualsiasi.
Ma quanto accaduto non deve meravigliare più di tanto. Messi non è proprio argentino. O meglio, non è più così argentino. Gioca nel Paris Saint Germain, insieme ad altri cinque o sei più forti al mondo, squadra da dieci anni di proprietà della Qatar Investment Authority. Figuriamoci se l’emiro del Qatar, che con ogni probabilità, dato il tipo di Paese, avrà qualche interessenza con quel fondo, avrebbe mai permesso a Messi di continuare a sfoggiare la maglia della nazionale proprio nel momento del trionfo.
La cosa più imbarazzante per un argentino sarà stata vedere il proprio eroico capitano sorridere durante quella invereconda esibizione, proprio come sorrideva l’emiro. Al quale, peraltro, poco sarà importato della reazione che potrebbe avere l’Adidas, il cui logo è stato completamente occultato dal Bisht.
Insomma, l’interesse di un immenso fondo privato prevale su tutto, anche sull’interesse della nazione che ha vinto i mondiali. Pare essere stato questo il senso di quella premiazione.
Caro Messi, li hai fatti arrapare gli argentini, ma proprio sul più bello, li hai fatti cagare. Così avrà commentato Maradona guardandolo.
Non siederà alla sua destra Messi, quando lo raggiungerà.