LA STRAGE DI NATALE

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

19.08 del 23 dicembre 1984. San Benedetto Val di Sambro. Galleria degli Appennini. Rapido 904, Napoli-Milano. Carrozza 9. Seconda classe.

Una carica di esplosivo radiocomandata, collocata su una griglia portabagagli, squarcia il treno in corsa.

15 i morti, fra i quali tre bambini e un’intera famiglia di 4 persone. 267 i feriti. Un sedicesimo viaggiatore, Gioacchino Taglialatela, padre di una delle vittime, la piccola Federica, perderà la vita nei giorni successivi a causa delle ferite riportate.
Un ferroviere è riuscito a bloccare il treno che arrivava da Bologna: se si fosse infilato nella galleria, i morti sarebbero stati centinaia.
Quello che i soccorritori si trovano di fronte è un muro di fumo e lamiere. Il vagone devastato esce dalla galleria solo dopo le 4 del mattino.
Dopo l’Italicus e la bomba alla stazione di Bologna, ancora una strage su un treno. Per contestualizzare: il biennio ‘83-‘84 è caratterizzato da una raffica di arresti.
Nell’83 finiscono in manette decine di camorristi; l’anno successivo, con 366 mandati di cattura, è il turno della mafia grazie alle rivelazioni del pentito Tommaso Buscetta, estradato in Italia dal Brasile. E proprio 10 giorni prima della strage del 23 Dicembre, a Bari, si apre il nuovo processo per la strage di Piazza Fontana, con Franco Freda e Giovanni Ventura tra gli imputati: si concluderà nell’85, con assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove.
Le indagini inforcano subito una duplice pista: quella della camorra, con in primo piano il clan di Giuseppe Misso e quella siciliana che ruota attorno al cassiere di “Cosa Nostra”, Pippo Calò, invischiato con la destra eversiva, ambienti deviati dei servizi segreti e della massoneria.
Scattano le manette ai polsi per vari affiliati al clan Misso. Tra cui, Carmine Lombardi, sospettato di aver portato l’esplosivo alla stazione di Napoli, poi eliminato in un agguato e Mario Ferraiuolo, che rivela un intreccio con Pasquale Abbatangelo, deputato del “Movimento Sociale Italiano”, il quale, avrebbe consegnato a Misso armi, detonatori ed esplosivi.
Nell’ottobre 1985, Pippo Calò, viene incriminato come mandante della strage, mentre altri 22 ordini di cattura sono emessi per Misso e il suo clan.
Nel gennaio 1986 il Pm, Pierluigi Vigna ,chiede il rinvio a giudizio di Calò, Misso, Abbatangelo e altre figure della criminalità organizzata. Per Vigna, la strage sarebbe il frutto di un intreccio di interessi, di mafia, camorra e destra eversiva, e finalizzata a “distogliere l’impegno della società civile dalla lotta contro la mafia”, producendo un “blocco del paese sulla via della democrazia”.
Alla vigilia dell’inizio del processo, Schaudinn, ritenuto l’artificiere della strage, si sottrae agli arresti domiciliari e fugge in Germania.
Nel febbraio 1989 vengono condannati in primo grado all’ergastolo per i reati di strage, attentato per finalità terroristica ed eversiva, banda armata, fabbricazione e detenzione di esplosivi, Calò e Misso.
Nel marzo 1990, la Corte d’Appello di Firenze conferma le condanne di Calò, ma scagiona Misso e i suoi.
Nel 1991 il colpo di scena. Come da copione. La prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, “l’ammazzasentenze”, annulla la sentenza di secondo grado.
“Per Carnevale, gli elementi emersi nel processo sono “generici” ed “equivoci”, e addirittura sarebbe “arbitrario e assiomatico” definire Calò mafioso. Pochi giorni dopo, invece, la Corte d’Assise di Firenze condanna Abbatangelo all’ergastolo. Si crea così una situazione paradossale, per cui gli imputati del processo principale sono stati assolti, mentre Abbatangelo – il cui ruolo era inserito nella stessa vicenda – è condannato”. (ladigacivile.eu)
Il 14 marzo 1992 va in scena un altro episodio surreale. La seconda Corte d’Assise d’Appello di Firenze, ribalta la decisione della Cassazione e ribadisce l’ergastolo per Calò & company. Per Misso e altri due camorristi, già assolti in via definitiva per i reati più gravi, sono confermate le condanne per la detenzione di esplosivi. Relativamente alla consegna degli esplosivi da parte del missino, Abbatangelo a Misso, per la Corte non basta a provare il nesso con la strage.
Abbatangelo, nel 1994 è assolto in appello dall’accusa di strage, e condannato a sei anni per detenzione di armi ed esplosivo. Questo signore, lo ricordiamo, è stato per quattro legislature deputato del “Msi”, sotto le segreterie di Almirante, Fini e Rauti.
L’iter giudiziario, quando c’è di mezzo il terzetto mafia, fascisti e massoneria, assume contorni kafkiani. Nel 2010, in seguito alle dichiarazioni di alcuni pentiti, la Dia di Napoli riapre l’inchiesta. Totò Riina, è colpito da un’ordinanza di custodia cautelare come mandante della strage del 904. Ma nell’aprile 2015, la Corte assolve Riina per non aver commesso il fatto.