DI BARBARA LEZZI
Il Premier Meloni, ancora una volta, ieri in conferenza stampa, ha fatto un parallelo tra la strage del giudice Borsellino e della sua scorta con l’inizio del suo impegno politico.
Contemporaneamente, dava parere positivo ad un ordine del giorno di Calenda che prevede il ripristino della prescrizione che, di fatto, è già avvenuto con l’avvento della riforma della giustizia approvata a larga maggioranza nella scorsa legislatura, ma che si vorrebbe ancora più “garantista”.
È bene ricordare che, spesso, sono proprio le strategie difensive dei colletti bianchi o dei boss mafiosi ad ambire alla prescrizione, oggi improcedibilità, anziché cercare una sentenza che potrebbe essere loro sfavorevole. Non sono gli imputati per reati minori che posso permettersi fior di parcelle per allungare i processi.
Inoltre, nella volontà del presidente Meloni, c’è anche il ritorno dei condannati nelle Istituzioni e allora mi chiedo la ragione per cui si riferisca sempre a Borsellino se nei fatti disattende in maniera così sfacciata la sua lezione?
Parla tanto di coraggio, beh allora sia coraggiosa, si prenda le responsabilità di queste sue volontà e lasci in pace chi è morto per perseguire volontà di pulizia e non di opacità e negazione di giustizia.
Paolo Borsellino, nel gennaio del 1989, pronunciò questo discorso che confligge decisamente con gli intenti meloniani:
“L’equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l’organizzazione mafiosa, però la magistratura non l’ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire che ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire che quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali, o quello che sia, dovevano già trarre le dovute conseguenze da queste vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Si dice: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto… ma dimmi un poco… tu non ne conosci gente disonesta che non è mai stata condannata perché non ci sono le prove per condannarla? C’è il forte sospetto che dovrebbe, quanto meno, indurre i partiti a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi e fatti inquietanti…”.