AL MERCATO DIPLOMATICO IL RITORNO DI PUTIN, “PACIERE” TRA ERDOGAN E ASSAD. CURDI A PERDERE

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

 

Siria. Il presidente turco Erdogan sta anticipando un incontro con il suo omologo siriano Assad, mediato da Vladimir Putin. Il presidente russo ha insistito per anni per una riconciliazione turco-russa e la fine dei giochi sembra più vicina che mai, spinto dal senso di opportunità di Erdogan a seguito della guerra in Ucraina.
Erdogan nella versione Nato meno schierata sul fronte anti russo, la debolezza di Putin, la distrazione attuale dell’Iran, e la vigilanza armata di Israele che complicano il finale di partita siriano. E forse non soltanto quello.

Geopolitica sofisticata e sorprendente

La nuova architettura della geopolitica internazionale è sofisticata e sorprendente. Il mondo post-covid è entrato in una fase di fibrillazione. E le relazioni tra gli Stati non obbediscono più alle regole della vecchia diplomazia. Così, capita di assistere a clamorosi riavvicinamenti, come quello tra il siriano al Assad e il turco Erdogan, facilitato da un mediatore d’eccezione: il Presidente russo Vladimir Putin. Che, secondo gli americani e i tre quarti dell’Occidente, sarebbe stato messo in castigo, dietro la lavagna; e che invece, di tanto in tanto, quando gli fa comodo, ne approfitta per fare il capoclasse.

La Russia che torna protagonista

Nel caso specifico, in quello spicchio di pianeta che abbraccia Mediterraneo orientale, Asia minore e Penisola arabica fino a Hormuz, Mosca sta riguadagnando un’ampia sfera d’influenza, che aveva perso dopo la caduta del Muro di Berlino. È stato proprio Recep Tayyip Erdogan, giovedì scorso, a ‘certificare’ il coinvolgimento di Putin in cotanto gioco diplomatico di formidabile portata. «Come Russia-Turchia-Siria abbiamo avviato un processo – ha detto il “sultano” – attraverso l’incontro dei nostri capi dell’Intelligence e dei Ministri della Difesa, a Mosca. Quindi, a Dio piacendo, riuniremo i nostri Ministri degli Esteri trilateralmente. Poi, a seconda degli sviluppi ci incontreremo come leader».

Opposizione siriana e curdi

La cosa non è stata presa bene dai gruppi d’opposizione siriani, appoggiati da Ankara, che sono entrati subito in fermento, perché temono di essere ‘svenduti’. È dovuto intervenire il Ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, per ribadire che il suo Paese non vuole certo buttare a mare coloro che finora ha sostenuto. Ma allora, dove vuole arrivare Erdogan? Secondo gli analisti del think-tank ‘al-Monitor’, specializzato in affari mediorientali, l’obiettivo prioritario è farla finita, una volta per tutte, con le forze curde stanziate nel nord della Siria, a ridosso dei confini con la Turchia. Ad Ankara, sono convinti che i gruppi ribelli di questa regione (il Partito dell’unione democratica e il Fronte di protezione del popolo) siano collegati al PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, qualificato come “terrorista”.

Putin versione diplomatica

Già da tempo, giace nei cassetti dello Stato maggiore turco un piano d’invasione del Nord della Siria, che prevede l’occupazione di una fascia di territorio profonda 30 chilometri e la distruzione delle forze curde che la controllano. L’intesa mediata da Putin consentirebbe a Erdogan di raggiungere i suoi obiettivi, d’accordo col Presidente Assad, senza entrare in rotta di collisione con l’esercito di Damasco. E, soprattutto, con i russi. Un evento assolutamente da escludere, perché la Turchia gioca due parti in commedia, essendo (paradossalmente) anche membro della Nato. Ergo, qualsiasi suo coinvolgimento militare contro i russi potrebbe far entrare, automaticamente, in guerra (articolo 5 del Trattato) tutti i Paesi dell’Alleanza atlantica.

Due o più parti in commedia

Tuttavia, va detto che la ‘foreign policy’ di Erdogan è anche ispirata da validi motivi di politica interna. Nel prossimo giugno si voterà per le Presidenziali e la campagna elettorale già si combatte, senza esclusione di colpi. L’economia turca è alle corde, con un’inflazione che viaggia verso il 90%, mentre l’opinione pubblica è sempre più spaccata. Nel Paese si sono già accampati almeno 4 milioni di rifugiati siriani, che rappresentano un onere non indifferente. Altri arrivano tutti i giorni, attraverso il lunghissimo confine che separa le due nazioni. Tra di loro, i turchi sospettano che ci siano molti combattenti curdi in incognito, che andranno a infoltire le file della resistenza nell’est dell’Anatolia.

Il partito curdo e della sinistra

Per questo, il principale gruppo di opposizione (HDP, Partito democratico del popolo) ha già annunciato, nel suo programma, di voler siglare un formale accordo di pace col governo siriano. Risolvendo tutti i contenziosi, a cominciare da quelli che riguardano i migranti. A questo punto, anche Erdogan ha scelto di risolvere drasticamente e in un colpo solo due problemi: quello dei curdi del suo sud, e quello dei rifugiati. Giocando d’anticipo pensa di avere fatto anche una mossa elettorale vincente.

La Siria laboratorio geopolitico

Dal canto suo, Putin sta utilizzando la Siria come una specie di laboratorio geopolitico. In effetti, dietro le quinte, tutti gli riconoscono che è stato lui il principale salvatore di al Assad. Mentre, in molti, hanno visto una sorta di disimpegno da parte degli Stati Uniti nella regione, dopo la sconfitta dell’Isis. Tutte queste valutazioni nel ranking diplomatico contano. Putin è riuscito poi, col cosiddetto Gruppo di Astana (Russia-Iran-Turchia) a gettare le basi per una sistemazione postbellica della Siria che non fosse stabilita solo dall’Occidente. Ma la successiva invasione dell’Ucraina ha parzialmente distolto la sua attenzione dal Medio Oriente e dal Golfo Persico. Il vuoto creatosi è stato immediatamente riempito da Erdogan, bravissimo a sfruttare qualsiasi occasione per ricostruire un ruolo di potenza internazionale della ex Sublime Porta.

Convitati di pietra assenti

Certo, dall’analisi fatta finora mancano due convitati di pietra, che potrebbero far saltare in corsa tutte le strategie: l’Iran e soprattutto Israele. Sono due attori presenti in Siria, in modo diverso ma “tangibile”. Per Putin, dunque, riassettare il nord della Siria non significa affatto stabilizzarla tutta. Perché i problemi, cacciati a settentrione, riemergeranno a macchia di leopardo nel resto del Paese.

 

Articolo di Pietro Orteca, dalla redazione di

9 Gennaio 2023

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PIERO ORTECA

Piero Orteca, giornalista, analista e studioso di politica estera, già visiting researcher dell’Università di Varsavia, borsista al St. Antony’s College di Oxford, ricercatore all’università di Maribor, Slovenia. Notista della Gazzetta del Sud responsabile di Osservatorio Internazionale.