DI ENNIO REMONDINO
Il problema della cronaca di attualità, anche la più attenta, è che ti porta dove chi aveva creato la successione dei fatti resi noti, aveva deciso di portarti. Prendiamo la questione carri armati: Leopard tedeschi sì e gli Abrams statunitensi no? Pagine di inutili speculazioni, quando, liberati dalla ragnatela di vertici geopolitici e grazie a qualche fonte più attenta o meglio informata, soprattutto Usa, scopri che a Washington qualcuno ha deciso una controffensiva ucraina di primavera ad anticipare quella russa, puntando addirittura alla conquista della Crimea, rivendicata in queste settimane da Zelensky quando nessuno neppure se lo sognava e anzi, temeva il peggio. Ritorno a ‘Risciatutto’
E scopri anche che, sempre in America, di fronte alla politica e alla diplomazia d’assalto, i militari al Pentagono, considerano questo un azzardo pericoloso. Altro che Leopard o Abrams con cui ci rintontoniscono.
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La controffensiva ucraina verso la Crimea
Valutazione geopolitica più attenta e quasi concorde, scopriamo che lo scopo della riunione della Nato a Ramstein dell’altro ieri, era quello di fornire mezzi e incoraggiamenti all’Ucraina di lanciare una controffensiva di primavera diretta verso la Crimea. Azzardo audace e, secondo alcune analisi dello stesso Pentagono, decisamente rischiosa, un vero azzardo, ma ormai è chiaro che è il Dipartimento di Stato a guida Blinken a spingere per lo scontro duro. Dunque, l’amministrazione Biden ha deciso che si deve aprire una nuova fase della guerra e chiede agli alleati armi, munizioni e denaro a questo scopo. Le discussioni con il governo tedesco sui carri armati Leopard fanno parte di questa strategia. E le ritrosie tedesche non sono ‘commerciali’ rispetto ai troppi ‘signorsì’ europei da cui siamo stati assordati.
Guerra tra Stati Uniti e Russia
Come ha scritto Lucio Caracciolo su Limes, «La guerra che si combatte in Ucraina è, fra le altre, anche una guerra tra Stati uniti e Russia. Per Washington è importante indebolire la Russia, ma non fino al punto di disgregarla, perché perderebbe la giustificazione principale per il mantenimento dell’impero europeo dell’America». Ma anche così, Washington sta giocando col fuoco, e noi con loro: «Un conflitto sul suolo russo rafforzerebbe enormemente la posizione di Putin, che da invasore si trasformerebbe in difensore della patria, erede dei soldati che sconfissero gli invasori tedeschi nella seconda Guerra mondiale». Tutto opinabile, certamente, ma il ragionamento non fa una piega.
E l’Italia in tutto questo? La nostra Crimea
Qui ripeschiamo Camillo Benso di Cavour, citato sul Manifesto. 170 anni fa, nel 1853, quando Turchia, Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla Russia e invasero la Crimea. Anche allora gli italiani erano ansiosi di accodarsi: «… i nostri soldati nelle regioni dell’Oriente gioveranno più per le sorti future d’Italia di quello che non abbiano fatto tutti coloro che hanno creduto operarne la rigenerazione con declamazioni e con scritti», disse Cavour al parlamento del regno di Sardegna il 5 febbraio 1855. Il parlamento approvò, i bersaglieri partirono e «il 16 agosto il corpo di spedizione piemontese ottiene una significativa vittoria sul fiume Cernaia», così scrivono i manuali scolastici forzando un po’ la storia.
Ma le guerre sono tragedia seria e crudele
In realtà, gli italiani erano un quarto delle truppe presenti sul fiume Cernaia, dove il grosso delle forze era composto di francesi, la cui artiglieria fece strage dei soldati russi spinti dal generale Pavel Liprandi al massacro per conquistare le colline dove erano trincerati i soldati di Napoleone III. Le truppe dello zar persero il generale Read, gli italiani il generale Gabrielli di Montevecchio. Ma il vero nemico, per tutto il corpo di spedizione alleato fu il colera: il 7 giugno 1855 era morto il generale Alessandro Lamarmora, il 29 giugno Lord Raglan, il comandante delle truppe inglesi. In settembre cadde Sebastopoli e, nel 1856, fu firmato a Parigi il trattato di pace.
L’importante, allora come ora, era ‘esserci’: nel 1853 Cavour offrì 15.000 soldati, oggi il ministro Crosetto assicura che «l’Italia farà la sua parte» mandando armi e munizioni, anche se gli ormai famosi sistemi missilistici SAMP/T di fermeranno in Slovacchia.
Crimea storicamente russa
«Il punto è che la Crimea non sta in Oriente, come diceva Cavour, e neppure in Ucraina: sta in Russia dal 1784 e il suo passaggio dalla Federazione russa alla Repubblica sovietica ucraina, nel 1954, fu un’operazione interna ai giochi di potere del Cremlino, proposta da Nikita Krusciov che aveva fatto tutta la sua carriera militare e politica in Ucraina. All’interno dell’Unione Sovietica, inoltre, non aveva alcuna importanza se dal punto di vista amministrativo Sebastopoli stava insieme a Odessa e Kiev o insieme a Rostov sul Don e Mosca: tutto si decideva all’interno del Politburo», scrive il professor Fabrizio Tonello, dell’università di Padova. Ripasso storico politico utile anche a Zenensky e a Biden, che bene lo conoscono ma fanno finta.
E’ anche vero che la dissoluzione dell’URSS, nel 1991, lasciò la penisola all’interno dei confini ucraini ma la sua popolazione parla russo e guarda a Mosca: questa è la ragione per cui nel 2014 Putin poté occupare la Crimea senza sparare un colpo.
Allarme politico strategico
«Autorizzare Zelenski a portare il conflitto in Crimea significa fare di Putin il leader di una nuova Grande guerra patriottica, come quella 1941-1945. Senza contare che l’idea americana di un abile dosaggio dell’escalation è una strategia sciagurata fin dai tempi delle guerre in Corea e Vietnam. Qualcuno ricorda che Mosca conserva 6.000 testate nucleari nei suoi arsenali?», sottolinea ancora il professore.
Ovviamente, anche letture contrapposte
Niente storia e solo politica da parte della vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh che si schiera col sovietico Krusciov: «La Crimea è ucraina, Kiev ha tutto il diritto di riprenderla», tentando di convincere che «gli Usa non dettano gli obiettivi e i tempi delle operazioni militari e che gli ucraini decidono in modo sovrano». Decidono loro, ma senza i loro armati americani Abrams, per ‘problemi di manovrabilità, rifornimenti, manutenzione e sottolineando che i Leopard sono invece ‘diversi’. Quanto alla posizione di Berlino, che subordinerebbe la fornitura di Leopard a quella dei tank Usa, Sabrina, dopo aver maltrattato la storia, si ripete: «Ogni Paese deve prendere decisioni sovrane», con il seguito di “e pagarne il prezzo”, lasciato sottinteso.
A Parigi Francia e Germania oltre i Leopard
Macron e Scholz, e una schiera di ministri a Parigi, celebrano i sessant’anni del Trattato dell’Eliseo, che Charles De Gaulle e Konrad Adenauer firmarono il 22 gennaio 1963. Non fu solo «il sigillo alla riconciliazione tra i due Paesi», ma anche l’atto di nascita di quell’intesa franco-tedesca, il vero motore dell’integrazione europea nei successivi decenni. Dietro l’ostentazione di unità della ricorrenza, l’attuale vertice parigino è il tentativo di ricomporre le molte recenti fratture di un rapporto che la guerra in Ucraina ha fatto venire allo scoperto. Oltre all’Europa baltica arruolata in guerra, l’Ungheria con Mosca e l’Italia più americana tra le tre maggiori potenze economiche Ue.
E alla fine della ormai prossima campagna di primavera, quella ucraina-americana o quella russa che verranno, Leopard o Abrams in campo, scopriremo che la Crimea resta dove e con chi è, il Donbass, pezzo più pezzo meno anche, mentre dovremo prendere atto di una Europa ormai in frantumi.
Articolo di Ennio Remondino, dalla redazione di
23 Gennaio 2023
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