DI ANTONELLO TOMANELLI
Chiudiamo gli occhi e andiamo indietro di dieci anni. Se qualcuno avesse detto pubblicamente che un mediocre comico ucraino che balla sui tacchi con la lingua arricciata sulle labbra, talentuoso nel suonare il pianoforte con la propria verga e forse anche un po’ cocainomane, sarebbe diventato presidente della Repubblica scatenando in pochi anni la Terza Guerra Mondiale, probabilmente avremmo invocato l’abrogazione della Legge Basaglia. Quanto meno per quel pazzo.
Il problema è che questa rappresentazione l’abbiamo vista spalmarsi nel tempo. E dopo un anno, siamo arrivati alla amara constatazione che purtroppo questa rappresentazione sta lentamente, ma pericolosamente, aderendo alla realtà.
Dopo numerosi tentennamenti, gli USA e la Germania invieranno a Kiev carri armati di ultima generazione. Si parla di 31 Abrams da Washington e 14 Leopard da Berlino. Un nulla, in confronto alla potenza di fuoco di cui dispone la Federazione Russa. Ma se, come preannunciato, questo è soltanto l’inizio, l’innalzamento del livello dello scontro è garantito.
Certo, c’è sempre qualcuno che ha il coraggio di dire con la faccia seria che questo misero rifornimento metterà comunque in seria difficoltà l’esercito russo. Che poi, a ben vedere, sono gli stessi che a marzo dello scorso anno assicuravano che il primo pacchetto sanzioni contro Putin avrebbe portato in poche settimane al collasso dell’economia russa, quando le uniche a collassare sono state le imprese europee che commerciavano con la Russia.
Appare poi curioso l’atteggiamento della dirigenza ucraina, primo tra tutti Zelensky, che di colpo, e per la prima volta, incomincia ad ammettere le proprie difficoltà sul campo. Dopo numerose smentite, ha finito per confermare il ritiro da Soledar, che fino a poche ore prima veniva data saldamente in mano all’esercito ucraino. A seguito dell’annuncio dell’invio delle prime armi serie da parte di Paesi Nato, l’Ucraina si fa ritrarre con la faccia da perdente.
E l’Italia si appresta all’invio di missili Samp-T, un moderno scudo anti-aereo che, almeno sulla carta, dovrebbe dare filo da torcere ad aviazione russa e droni iraniani. Una pernacchia all’art. 11 della Costituzione, che esige che l’Italia ripudi la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Giorgia Meloni, che in nome del made in Italy ha passato anni a stracciarsi le vesti per il ritiro delle sanzioni alla Russia fin dai tempi dell’annessione della Crimea, definendo nel contempo la Commissione Europea «un comitato d’affari e di usurai che mette in ginocchio i popoli» e accusando la Nato di voler «riesumare un clima da guerra fredda», oggi si fa pubblicamente possedere senza vergogna sia da Washington che da Bruxelles.
E nemmeno si fa problemi Giorgia Meloni, gestendo la questione del reddito di cittadinanza, nel regalare all’esercito ucraino quello che toglie ai suoi poveri. Della tutela dell’interesse nazionale, da sempre il suo cavallo di battaglia, Giorgia Meloni, per una questione più di convenienza che di decenza, di certo non parlerà più.