DI PIERO ORTECA
Davanti a un Congresso spaccato, Joe Biden, più che un ‘documento istituzionale’ propone un manifesto politico e disegna un’agenda politica progressista quasi da sua ricandidatura, si scaglia contro Big Oil, Big Pharma e Big Tech e scatena la contestazione in aula. Poco spazio alla politica estera dei suoi troppi inciampi, e prova a tendere la mano all’opposizione sui temi bipartisan, ma l’intervento finisce in caciara parlamentare anche grossolana, condita da insulti.
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Sullo “Stato della Disunione”
Quello pronunciato solennemente da Joe Biden, davanti al Congresso, dovrebbe essere ribattezzato come, ‘Discorso sullo stato della Disunione’. Nonostante l’appello del Presidente a una visione ‘bipartisan’ del bene comune, infatti, la sostanza è che il muro contro muro, tra la Casa Bianca e i Repubblicani, non solo permane, ma anzi s’inasprisce. Soppesando l’intervento di Biden e le reazioni stizzite, addirittura feroci, di alcuni esponenti del Grand Old Party, si può dire che il clima creatosi è stato quasi da ‘quelli delle torte in faccia’.
“Interessi nazionali”, ognuno i suoi
Dietro la cortina fumogena dell’interesse nazionale, in effetti, si combattono battaglie politiche all’ultimo sangue, che vanno dalla (mancata) intesa sul bilancio federale, ai nodi controversi dell’economia (buona crescita, ma alta inflazione), per finire con una ‘foreign policy’ confusa, zigzagante e che scontenta molti. Questo, senza trascurare i nodi sociali più scottanti, cioè il vero tormentone quotidiano della Casa Bianca: la criminalità sempre più dilagante, la sicurezza del sistema scolastico (con la crescita esponenziale del consumo di droga) e l’estensione dell’assistenza sanitaria ai meno abbienti. Ora, se non si alzerà il tetto previsto del debito, lo Stato andrà in default. Per questo Biden ha bisogno di mettersi d’accordo coi Repubblicani, che sono diventati maggioranza alla Camera.
Applausi, fischi e peggio
E, per questo, i suoi ‘ghost-writers’ hanno cercato di costruire per lui un discorso che fosse almeno “agro-dolce”. Operazione riuscita solo in minima parte, visti i ‘boatos’ e gli ululati di disapprovazione che si sono levati nell’aula del Congresso. Così, il Presidente ha continuato a essere interrotto durante il suo discorso, mentre qualcuno (la Taylor Greene) continuava a gridargli “bugiardo” e qualche altro (Andy Ogles) lo accusava (“è colpa tua”) di essere la causa indiretta dei 70 mila morti all’anno per ‘Fentanil’, un anestetizzante usato come droga che, prodotto e venduto a basso costo, sta mettendo in ginocchio l’America. Soprattutto le scuole. I Repubblicani sostengono che arrivi a tonnellate dal Messico, assieme ai milioni di clandestini che ogni anno varcano il Rio Grande. Secondo il GOP, l’Amministrazione democratica finora non ha fatto niente per combattere il fenomeno.
Ala dura repubblicana
La caciara scatenatasi alle parole di Biden, dicono i commentatori, ha visto protagonisti soprattutto gli esponenti dell’ala dura repubblicana. In particolare, solo per citarne alcuni, Rick Scott, Mike Lee, Bill Cassidy e Marjorie Taylor Greene. Se quest’ultima ha urlato ‘bugiardo’ a Biden, Scott ne ha chiesto addirittura le dimissioni, per le dichiarazioni fatte su previdenza sociale e medicale. E, tanto per ribadire il clima di feroce frammentazione bipartisan, va rilevato che a finire sotto accusa (questa volta da parte democratica) è stato anche il repubblicano Kevin McCarthy, speaker della Camera, che non avrebbe saputo mantenere l’ordine durante l’intervento del Presidente. McCarthy, intervistato da Fox News, nell’apparente tentativo di giustificarsi ha però rincarato la dose, dando anche lui del ‘mentitore’ a Biden.
Lo speaker della Camera si riferiva, in particolare, alla posizione del GOP sulle politiche di bilancio federale. La Casa Bianca su questo argomento non vuole trattare e pretende di vedere appoggiati i suoi programmi, con una spesa pubblica straripante.
Manifesto politico
In effetti, a molti commentatori il Discorso sullo stato dell’Unione è sembrato più che un documento istituzionale un manifesto politico, anzi, partitico, in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Biden ha ribadito molte cose che già si sapevano, cercando di sottolineare le note positive (Pil, occupazione, infrastrutture) e ignorando quasi completamente quelle negative (in politica estera).
Ricandidatura 2024? A perdere
Una piattaforma per annunciare la propria candidatura per un secondo mandato alla Casa Bianca? Forse. Anche se, come abbiamo scritto più volte negli ultimi tempi, la politica americana, immersa nella nebbia delle incertezze, naviga a vista. L’ultimo sondaggio del Washington Post la dice chiara sugli umori all’interno del Partito democratico: Biden non viene ritenuto un “front runner” vincente. Nello stesso giornale liberal, poi, si sono accese tutte le lampadine rosse, dato che i polls, in una prova simulata, danno avanti Trump su Biden, per 48 a 45%. Ergo, non è detto che l’attuale (ottuagenario) Presidente corra per un secondo mandato.
Un “dopo” Biden e Trump assieme?
Tra l’altro, è ormai accertato che lo stato maggiore del GOP sta facendo il possibile per sbarazzarsi di Trump. Forse sarà anche per questo, ma la “replica”, tradizionalmente proposta dall’opposizione dopo il discorso del Presidente, quest’anno è stata affidata a Sarah Huckabee Sanders, giovane governatrice dell’Arkansas. La Huckabee, nonostante sia stata l’addetta stampa di Donald Trump, ha detto che nel Partito repubblicano è arrivata l’ora di avere forze fresche al vertice. Biden, ha proseguito, è caduto nelle mani della sinistra radicale e si è dimostrato inadeguato al ruolo di leader della nazione.
E, tanto per restare in tema, proprio l’ultimo mega-sondaggio di RCP ci dice che ora c’è un politico diverso a comandare la classifica di gradimento del popolo americano: Ron DeSantis, governatore repubblicano della Florida.
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
9 Febbraio 2023