DI PIERO ORTECA
Botta e risposta: lunedì l’aggiornamento delle sanzioni energetiche G7-Ue contro Mosca, e ieri Putin ha deciso di tagliare la produzione giornaliera di petrolio di mezzo milione di barili. Tenere alti i prezzi, ma non solo. E gli elementi finanziari si mischiano a considerazioni geopolitiche molto più complesse. Proviamo a seguire Piero Orteca nei meandri energetici meno noti e più problematici.
Dato noto da subito, l’aumento del prezzo del petrolio +2,3%. Atto di forza o di debolezza? Chi perde e chi guadagna non solo in soldi.
Guerra sul fronte energetico, attacco e difesa
Per ora, se guardiamo alle quantità coinvolte, la decisione presa dal Cremlino sembra più una minaccia, anzi, una specie di ricatto, piuttosto che una reale dichiarazione di guerra. Il taglio di 500 mila barili al giorno, infatti, rappresenta solo il 5% della produzione russa e lo 0,5% di quella mondiale. Un segnale che però è già servito a fare alzare il prezzo del Brent, il tipo di petrolio del Mare del Nord che rappresenta il ‘benchmark’, il punto di riferimento internazionale, fino a 86,43 dollari al barile (+ 2,3%). E quella della risposta russa alle nuove sanzioni diventa una spiegazione semplicistica, che forse serve a nascondere altri problemi, che si agitano dentro le mura del Cremlino e che vanno decisamente oltre la ‘ripicca’ da sanzioni.
Chi vince e chi perde
Analisi economiche. Secondo il Financial Times, Putin avrebbe ‘perso la guerra energetica’, e il taglio della produzione potrebbe essere più un segno di difficoltà che una reale minaccia per l’Occidente. Questo gennaio la Russia ha diminuito significativamente il suo export di energia (gas+ petrolio+ prodotti raffinati), incassando circa il 40% in meno di un anno fa. Nel 2022, Mosca, utilizzando l’arma del gas, ha messo quasi in ginocchio l’Europa, aiutata anche dalla speculazione internazionale. Ma, adesso, questi prezzi sono implosi e la situazione sembra tornata sotto controllo. Ergo, non sarà tanto facile per Putin ripetere lo stesso giochetto, del gatto col topo, anche col petrolio. Questa volta gli alleati occidentali sembrano più preparati e più pronti a reagire, anche se permangono differenti ‘movimenti tattici’. Il problema, adesso, come accennavamo prima, diventa geopolitico.
Fino a che punto si può spingere Putin, nel mantenere alti i prezzi di greggio e prodotti raffinati, senza danneggiare le sue relazioni con Cina, India e gli altri ‘non allineati’?
Forbice dei prezzi tra amici e nemici
Come si vede, può sembrare paradossale, ma in questa fase gli specialisti di politica estera lavorano facendo equazioni: qual è il limite, la ‘forbice’ del prezzo per barile a cui bisogna puntare per vincere la partita, senza guastarsi le alleanze? A Washington, come a Bruxelles, hanno identificato questa soglia in 60 dollari. Consente alla Russia di continuare a vendere, ai Paesi “non allineati” e del Terzo mondo di continuare a comprare, e agli occidentali di non vedere Putin arricchirsi fino al punto da poter finanziare indefinitamente la sua guerra.
“Urals” con lo sconto e nuovi mercati
In questa fase, pare che gli analisti occidentali abbiano visto giusto. Il greggio di tipo ‘Urals’, prodotto dai russi, viene venduto a prezzi scontatissimi, tra 40 e 50 dollari. Questo, perché le esigenze di bilancio impongono un afflusso continuo di nuove entrate certe. Si preferisce, allora, andare alla ricerca di nuovi acquirenti e spostare l’offerta, massicciamente, dall’Europa all’Asia. In ogni caso, la situazione del mercato petrolifero e dei suoi derivati resta caotica.
L’Opec con chi sta?
Ci sono possibilità che l’Opec copra le quote di petrolio russo e di prodotti raffinati che mancano dal mercato? La risposta è no. Rumours di corridoio parlano di tentativi americani ‘di convincimento’ respinti al mittente dall’Arabia Saudita. E, d’altro canto, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha precisato che prima di prendere ogni decisione ‘anche i membri dell’Opec sono stati avvertiti’.
Un particolare che dimostra, a nostro avviso, il fallimento della politica mediorientale di Biden e la sua incapacità di entrare in sintonia con il mondo arabo.
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
11 Febbraio 2023