DI LUCA BAGATIN
Il capitalismo produce merci (e conseguente inquinamento per poter essere prodotte), in quantità industriale – appunto – che dovranno necessariamente essere vendute a qualcuno, attraverso bisogni indotti (veicolati attraverso la pubblicità commerciale) e tutta questa baracca permette di mantenere categorie improduttive al potere, ovvero i politici… che chiedono peraltro il consenso (che veicolano attraverso la pubblicità elettorale), danneggiando inevitabilmente la collettività, alla quale non rispondono (in quanto rispondono alle classi e a poteri superiori).
Ce lo ricordava l’ottimo Paul Lafargue (1842 – 1911), genero di Karl Marx, rivoluzionario, saggista e politico d’origine caraibica, il quale fu giovane seguace delle teorie libertario-socialiste di Pierre-Joseph Proudhon.
Aderente alla Massoneria e all’Associazione Internazionale dei Lavoratori del 1864, fu in un primo tempo in contrasto con Marx, ma finì per unire le teorie proudhoniane a quelle marxiste, oltre che alla visione di Auguste Blanqui, suo contemporaneo e fratello in Massoneria.
Marito di Laura Marx nel 1868 e con lei suicida, nel 1911, per evitare le sofferenze della vecchiaia (questo quanto egli ebbe a scrivere nel suo testamento: “Sano di corpo e di spirito, mi uccido prima che l’impietosa vecchiaia mi tolga a uno a uno i piaceri e le gioie dell’esistenza e mi spogli delle forze fisiche e intellettuali. Affinché la vecchiaia non paralizzi la mia energia, non spezzi la mia volontà e non mi renda un peso per me e per gli altri.
Da molto tempo mi sono ripromesso di non superare i settant’anni; ho fissato la stagione dell’anno per il mio distacco dalla vita e ho preparato il sistema per mettere in pratica la mia decisione: un’iniezione ipodermica di acido cianidrico. Muoio con la suprema gioia della certezza che, in un prossimo futuro, la causa alla quale mi sono votato da quarantacinque anni trionferà. Viva il Comunismo. Viva il Socialismo Internazionale!”).
Paul Lafargue e la sua vita rappresentano un inno all’emancipazione e al diritto di affermare l’essere umano, senza dogmi religiosi, costrizioni morali, costrizioni lavorative, psicologiche, sociali.
Direttore de “La Défense nationale” di Bordeaux nel 1870 e sostenitore della Comune di Parigi, fu fondatore del Partito Operaio Francese nel 1882 e fu eletto deputato nel 1891, pur trovandosi in prigione a causa della sua attività rivoluzionaria.
In prigione scrisse uno dei saggi fondamentali, ovvero “Il diritto all’ozio”, opera comprendente una serie di suoi articoli. E, successivamente, ebbe contatti con eminenti figure del socialismo europeo, quali Karl Liebknecht e Vladimir Lenin.
E proprio “Il diritto all’ozio” sembra essere saggio fondamentale in questo periodo di crisi globale, laddove in Francia il padronato, sostenuto da un governo liberal-autoritario, come quello di gran parte dei Paesi d’Europa, sembra voler seguitare ad imporre le sue leggi.
Leggi fatte di: più crescita economica (che non sarà mai illimitata e continuerà a produrre diseguaglianze, inquinamento e merci in eccesso); innalzamento dell’età pensionabile; più spese militari; meno spesa sanitaria.
Paul Lafargue così scriveva, nel 1883, con uno spirito che Karl Kautsky definiva “pieno d’umorismo, di spirito e di arguzia”, ma potrebbe essere oggi:
“Una strana follia possiede le classi operaie delle nazioni dove regna la civiltà capitalista. Questa follia trascina al suo seguito miserie individuali e sociali che da secoli torturano la triste umanità. Questa follia è l’amore per il lavoro, la passione nociva del lavoro, spinta fino all’esaurimento delle forze vitali dell’individuo e della sua progenie.
Nella società capitalista il lavoro è la causa di tutta la degenerazione intellettuale, di tutta la deformazione organica.
I Greci dell’epoca d’oro non avevano che disprezzo nei confronti del lavoro: agli schiavi solamente era permesso di lavorare, l’uomo libero conosceva soltanto gli esercizi fisici ed i giochi d’intelligenza.
I filosofi dell’antichità insegnavano il disprezzo del lavoro, forma di degradazione dell’uomo libero; i poeti cantavano l’ozio, dono degli dèi: O Meliboe, Deus nobis hæ cotia fecit.
Nella nostra società quali sono le classi che amano il lavoro per il lavoro? I contadini proprietari e i piccoli borghesi; i primi chini sulla terra, gli altri rintanati nelle loro botteghe, si muovono come la talpa nella sua galleria sotterranea e mai alzano il capo per contemplare a proprio piacimento la natura.
Il proletariato tradendo i suoi istinti e misconoscendo la sua missione storica, si è lasciato pervertire dal dogma del lavoro. Dura e terribile è stata la sua punizione. Tutte le miserie individuali e sociali sono sorte dalla sua passione per il lavoro.
Le officine moderne sono diventate delle case ideali di correzione dove si incarcerano le masse operaie, dove si condannano ai lavoro forzati per dodici o quattordici ore non solo gli uomini, ma anche le donne e i bambini.
Se le sofferenze del lavoro forzato, se le torture della fame si sono abbattute sul proletariato più numerose delle cavallette della Bibbia, è il proletariato che le ha chiamate.
La nostra epoca, si dice, è il secolo del lavoro, in realtà è il secolo del dolore, della miseria e della corruzione.
(…). Introducete il lavoro salariato e addio gioia, salute, libertà: addio a tutto ciò che rende la vita bella e degna di essere vissuta.
Lavorate, lavorate proletari per accrescere la ricchezza sociale e le vostre miserie individuali. Lavorate, lavorate, perché diventando più poveri avrete più ragioni per lavorare e per essere miserabili. Questa è la legge inesorabile della produzione capitalista.”
Una lezione importante, quella di Paul Lafargue, che non avrebbe voluto affatto una “Repubblica fondata sul lavoro”… specie se il lavoro finisce per essere sfruttato e se i suoi politici (di centrodestra e di centrosinistra antisocialisti) rinnegano il principio che sancisce di “ripudiare la guerra”, ma una democrazia fondata sull’emancipazione dei cittadini e sul loro diritto all’autogestione e all’autodeterminazione. Senza padroni di nessun tipo.
Questo il senso del socialismo di Paul Lafargue e di molti socialisti dell’800 e del ‘900, che hanno precorso i tempi e che hanno insegnato ieri e oggi, ciò che molti, ieri ed oggi, ancora non riescono a vedere.
Luca Bagatin