DI MARIO PIAZZA
Quello che sto per scrivere mi procurerà qualche antipatia o peggio ma il ruolo degli anziani non può limitarsi alla osservazione dei cantieri stradali. Chi c’era negli anni ormai lontanissimi del terrorismo ha il dovere di portare la propria testimonianza affinché quella triste stagione non debba ripetersi.
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Sentirsi in guerra contro lo stato non era così difficile alla fine degli anni sessanta e quel sentimento non riguardava soltanto quelle poche centinaia di persone che negli anni successivi imbracciarono le armi e quelle varie migliaia che resero possibile la loro sopravvivenza nella clandestinità e le loro spedizioni terroristiche.
La complicità morale con quegli atti criminali si allargava a quasi tutta la sinistra extraparlamentare di allora ed era generata da una lunga scia di sangue, di repressione e di ingiustizia che aveva preso il via nel 1968 con le fucilate della polizia contro i braccianti di Avola che con l’appoggio dei sindacati manifestavano pacificamente per un aumento salariale. Ci furono morti e feriti e la cosa si ripeterà tre mesi dopo a Battipaglia. Il 1969 fu l’anno della repressione poliziesca più violenta dalla fine del fascismo e terminò con il delitto più atroce di tutti gli altri, l’omicidio del ferroviere Giuseppe Pinelli buttato giù da una finestra del quarto piano della questura di Milano.
L’impunità per i cosiddetti “servitori dello stato” appoggiati da quella che chiamavamo la “stampa di regime” generò quella rabbia sorda che spinse qualcuno a prendere la giustizia nelle proprie mani. Per questo fu gambizzato Indro Montanelli e per la stessa ragione fu assassinato il commissario Calabresi.
Lo stato sentendosi minacciato reagì in maniera scomposta con la promulgazione delle leggi speciali contro il terrorismo, provvedimenti che nell’immaginario di chi si era ribellato all’ingiustizia dopo essere stato colpito nella propria carne viva ricordavano molto ciò che stava avvenendo dall’altra parte dell’oceano, nel Cile del generale Pinochet.
Gli anni 70 furono un delirio collettivo, una follia di entrambe le parti che causò la morte di decine di persone, “servitori dello stato” e “compagni che sbagliano”.
Il rifiuto della Francia all’estradizione dei dieci ex-terroristi ormai quasi ottantenni è l’unica risposta possibile a quella follia, e se è vero che Pietrostefani e gli altri non hanno mai chiesto perdono ai parenti delle vittime e altrettanto vero che neppure lo stato italiano ha mai chiesto perdono alle decine di migliaia di cittadini innocenti che a causa di quelle leggi speciali persero il lavoro, gli studi, la dignità e spesso anche la vita.