DI LEONARDO CECCHI
Li condannarono oggi, cento anni fa, alla sedia elettrica.
Lo fecero anche quando uno degli uomini responsabili di quegli omicidi a loro imputati confessò il suo crimine, scagionando loro. Non gliene fregava niente. Erano italiani, erano immigrati, erano “sovversivi” e a loro serviva giustiziare qualcuno. Toccò agli ultimi, come sempre avviene. Toccò a noi italiani, che all’epoca eravamo tra gli ultimi.
L’ingiustizia di quella condanna verso due uomini che non avevano mai torto un capello a nessuno fu così evidente da smuovere l’opinione pubblica italiana tutta, e quindi portare persino il governo italiano, all’epoca fascista, a muoversi – sia pur tiepidamente – per provare ad evitargli la morte, nonostante i due fossero anarchici. Ma non servì a nulla. Di Sacco e Vanzetti volevano la testa.
Morirono pochi mesi dopo la condanna, tutti e due uccisi dalla sedia elettrica. Il discorso di Vanzetti in tribunale fece scuola.
Le ceneri, almeno quelle, riuscirono a riportarle in Italia, in Piemonte e in Puglia, le loro terre d’origine.
Alla loro storia, alle loro vite, il ricordo più sentito.