DI ALFREDO FACCHINI
Uno studente chiese all’ antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così.
Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito.
Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori.
Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.
Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi.
Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto in cui la civiltà inizia.
Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo.
L’inizio della civiltà non è un oggetto ma un comportamento. Un sentimento.
Ancora più vero nell’era degli individualismi in cui siamo immersi.
Le società ideali dovrebbero stare in piedi su basi sentimentali, non rispondere solo e soltanto a criteri di efficienza e consumo.
Quello che oggi scarseggia di più è la cura e l’attenzione per tutte le forme di fragilità: dal lavoro fino alle malattie. Ci hanno convinto che ci si salva da soli. Ognuno per sé. È il grande inganno.
<<Il vero schiavo, il vero schiavo difende il padrone, mica lo combatte. Perché lo schiavo non è tanto quello che ha la catena al piede quanto quello che non è più capace di immaginarsi la libertà>>. (Silvano Agosti, “Il discorso tipico dello schiavo”).