DI PIERO ORTECA
Con la guerra Ucraina ad esaurimento di vite e di risorse, chi si contende il dominio del mondo è già passato ad altro, lasciando all’Europa e a Mosca l’oneroso finale di tragedia dopo aver schierato la Nato praticamente alle porte di Mosca. E quando Niall Ferguson ha scritto che dietro la guerra in Ucraina c’è l’ombra della Cina, forse aveva ragione. La strategia geopolitica americana e le sue ricadute militari sono completamente cambiate, negli ultimi cinque anni. Il Segretario alla Difesa, Lloyd Austin, alla fine dell’anno scorso. «La Cina rimane il nostro principale concorrente strategico per i prossimi decenni». Ma che succede realmente sui due fronti militari?
In una guerra convenzionale, Usa a perdere, temono gli stessi americani.
Il mondo armato letto dalla Cina
Pechino si è convinta di poter affrontare, sostenere e vincere una eventuale guerra convenzionale con gli Stati Uniti, combattuta nel Mar cinese meridionale, per occupare l’isola di Taiwan. L’unica discriminante necessaria, il fattore dissuasivo per impedire un insostenibile confronto sul piano nucleare, è però quello di avere una sufficiente forza di deterrenza atomica.
Deterrenza nucleare
Solo nel 2022, i satelliti hanno rivelato la moltiplicazione dei silos per missili balistici, nelle aree desertiche della Cina occidentale. Si parla di oltre 120 nuove istallazioni, tutte in grado di contenere vettori capaci di raggiungere gli Stati Uniti. Gli esperti avvertono che la situazione di pericolo, nascente dalla contrapposizione Usa-Cina, è superiore a quella che si aveva, anche ai tempi della Guerra fredda, tra Washington e Mosca.
“E i rischi di ‘miscalculation’, di una guerra, cioè, scoppiata perché si è premuto il bottone sbagliato, sono elevati”.
La guerra per sbaglio
Non esiste un trattato per il controllo degli armamenti con Pechino. Attualmente, le stime attribuiscono alla Cina poche centinaia di testate atomiche, che dovrebbero arrivare a mille entro il 2030. Intanto, secondo gli analisti, i silos cinesi filmati dai satelliti sono in grado di ospitare i missili intercontinentali DF-41, studiati per raggiungere la terra ferma degli Stati Uniti. In molti pensano che, alla base dell’evoluzione della dottrina sulla sicurezza nazionale di Pechino, ci sia una mutata percezione dell’atteggiamento diplomatico americano.
Troppa “America first” sul mondo
Ed elencano prima la ventata neoprotezionistica (e i dazi doganali) di Trump, poi il famoso discorso di Matt Pottinger (National Security Council) sul possibile rovesciamento del Partito comunista cinese e, infine, la clamorosa conferma ‘ufficiale’, suggellata da Biden: «La Cina nemico pubblico numero uno degli Stati Uniti».
Taiwan solo il detonatore
Certo, il detonatore resta Taiwan. Ma bisogna anche ricordare che il confronto Cina-Usa è molto più ampio, e tocca due modelli sociali ed economici agli antipodi, che si riverberano sugli scenari geopolitici del pianeta. In una delle prime interviste, dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, Biden dichiarò, corto e netto, «che non avrebbe mai consentito che la Cina diventasse la prima potenza economica e tecnologica mondiale».
“Il radicale cambiamento ‘in corsa’ della strategia di difesa Usa, così come è stato illustrato lo scorso ottobre dal capo del Pentagono, Lloyd Austin, riflette questa nuova visione dei rapporti di forza internazionali”.
Ucraina guerra d’assaggio
La guerra in Ucraina e la ritrosia Usa a evitare qualsiasi confronto diretto con la Russia, potenza nucleare, hanno convinto Xi Jinping che l’ombrello atomico può benissimo delimitare un eventuale conflitto per Taiwan nell’alveo convenzionale. Anche perché Biden, nel marzo dell’anno scorso, si è rimangiato la promessa di non usare per primo armi nucleari. In quell’occasione ha detto che gli Stati Uniti non escludevano di ricorrervi «in casi estremi».
“Per questo il leader cinese ha impartito direttive precise con precedenza assoluta: accelerare la nuclearizzazione delle forze armate cinesi, per tenere un eventuale conflitto per Taiwan nell’ambito convenzionale”.
Guerra convenzionale, Usa a perdere
In quel caso, secondo gli analisti militari, Washington sarebbe sfavorita, vista la lontananza delle basi più importanti e l’estrema lunghezza delle linee di rifornimento.
Filippine, Guam, Giappone, Corea i bersagli
È probabile, che in caso di conflitto con la Cina, le prime a essere attaccate siano le installazioni Usa nelle Filippine, a Guam, nel Giappone e nella Corea del Sud. La chiave, dunque, per Pechino, è riuscire ad avere una deterrenza nucleare sufficiente a dissuadere Biden dal fare mosse avventate, perché sul piano convenzionale Xi è sicuro di farcela.
Potenza nucleare Usa da paura
L’arsenale nucleare americano Secondo il rapporto ‘Nuclear Noteboook 2021’, «Gli Stati Uniti hanno complessivamente 3.800 testate nucleari, delle quali 1.800 dispiegate». Alle quali si aggiungono 1.750 testate smantellate: un inventario totale di circa 5.550 testate nucleari. «Delle circa 1.800 testate schierate – prosegue il rapporto – 400 sono missili intercontinentali terrestri, 1.000 sono su sottomarini, 300 sono su bombardieri delle basi degli Stati Uniti e 100 bombe tattiche, dislocate nelle basi europee».
Risposta cinese a un attacco nucleare
«Sviluppi recenti – scrive il Wall Street Journal- suggeriscono che la Cina stia ponendo maggiore enfasi sulla capacità di rispondere a un attacco nucleare. Pechino sta costruendo un sistema di allerta precoce per rilevare i missili in arrivo con l’assistenza russa, secondo il Pentagono, e nel febbraio 2021 ha lanciato un satellite che dovrebbe fungere da sensore spaziale per i vettori»
“Per Caitlin Talmadge, professore di Studi sulla sicurezza alla Georgetown University, tenendo conto anche dei missili ipersonici sviluppati dai tecnici cinesi, che non sono intercettabili, in pratica il messaggio di Xi Jinping a Biden è chiaro: stai attento a quello che fai, perché la nostra rappresaglia potrebbe arrivare a distruggere le città americane”.
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
15 Aprile 2023