DI ENNIO REMONDINO
Il 19 aprile del 1943, ottant’anni fa, iniziò la rivolta del ghetto di Varsavia, in cui circa settecento ebrei si ribellarono agli occupanti nazisti e alle deportazioni nei campi di concentramento. Soprattutto giovani che formavano piccoli gruppi di resistenza, male armati ed equipaggiati in maniera approssimativa: la rivolta durò quasi un mese. L’intero quartiere del ghetto fu raso al suolo e migliaia di ebrei furono catturati, uccisi o deportati nei campi concentramento di Poniatowa, Trawniki e Majdanek, sempre in Polonia. Ma la rivolta del ghetto di Varsavia è diventata per la storia ebraica e mondiale un episodio simbolico di resistenza alle persecuzioni antisemite. Dalla ricostruzione puntuale del Post
Il più grande ghetto ebraico d’Europa
Il ghetto di Varsavia era il più grande ghetto ebraico dell’Europa occupata dai tedeschi. Istituito alla fine del 1940 e divenne obbligatorio per tutti i residenti ebrei della città e poi anche di altre zone. Si trovava nel centro antico e cadente della la capitale, e si estendeva per 3,4 chilometri quadrati, circondato da un muro alto oltre 3 metri, ricoperto di filo spinato e sorvegliato dai soldati nazisti per impedire agli ebrei di uscire. Si stima che fossero circa 400mila, rinchiusi in stanze per circa 7 persone ciascuna.
Dominio delle SS
Dal ghetto di Varsavia la polizia tedesca e le SS deportarono centinaia di migliaia di ebrei, soprattutto nel centro di sterminio di Treblinka, nel nordest della Polonia. Solo durante la Grossaktion, la ‘Grande azione’, cioè la deportazione durata da fine luglio a metà settembre del 1942, ne furono deportati circa 265mila. Altri 35mila furono uccisi all’interno del ghetto, dove all’inizio del 1943 i sopravvissuti erano circa 80mila.
Polonia occupata
All’epoca della rivolta la Polonia era un territorio occupato dall’inizio della Seconda guerra mondiale, provocata proprio dall’invasione nazista del paese a settembre del 1939. Dopo poco l’Unione Sovietica rispose invadendo a sua volta la parte orientale del paese, che per anni subì l’occupazione straniera di due forze ostili all’autonomia e alla cultura del popolo polacco.
“Si stima che nel periodo tra il 1939 e il 1945 morirono circa sei milioni di polacchi, oltre il 20 per cento della popolazione. Metà di questi sei milioni erano ebrei”.
La rivolta nel ghetto
Alla rivolta si arrivò gradualmente. Già verso la fine del 1942 molti ebrei nel ghetto iniziarono a formare organizzazioni clandestine. Una delle prime fu l’Organizzazione Ebraica di Lotta (ZOB, Zydowska Organizacja Bojowa), la più numerosa tra quelle che parteciparono alla rivolta l’anno successivo. Dai primi 200 sino a 500 clandestini. Sempre nel 1942 si costituì anche l’Unione Militare Ebraica (ZZW, Zydowski Związek Wojskowy), che partecipò alla rivolta con circa 250 attivisti. A queste due organizzazioni se ne unirono poi altre più piccole, con posizioni ideologiche anche molto diverse tra loro: c’erano sionisti, cioè sostenitori di una patria ebraica in Israele, e non-sionisti, gruppi di ispirazione comunista e conservatori.
Armi ed esplosivi
Per ottenere le armi ed esplosivi, questi gruppi riuscirono dopo vari tentativi a mettersi in contatto con l’Armata Nazionale (AK, Armia Krajowa), il principale movimento di resistenza alla Germania nazista nella Polonia occupata, attivo già dal 1939. Un primo tentativo di rivolta organizzata ci fu nel gennaio del 1943, quando le SS e la polizia tedesca organizzarono una nuova tornata di deportazioni, questa volta nei campi di concentramento dell’area di Lublino, nel sudest della Polonia.
Infiltrati all’Umschlagplatz
Un piccolo gruppo di combattenti armati di pistole si infiltrò nella colonna di ebrei diretti all’Umschlagplatz, il punto del ghetto in cui venivano raccolte le persone da deportare, e a un segnale prestabilito iniziò a sparare. La maggior parte dei combattenti fu uccisa nello scontro a fuoco con le forze tedesche, ma nella confusione alcuni ebrei riuniti nella piazza riuscirono a disperdersi e ad evitare temporaneamente la deportazione.
“Le deportazioni furono sospese per un breve periodo e questo incoraggiò altri abitanti del ghetto a unirsi ai movimenti armati, che nelle settimane successive costruirono bunker e rifugi sotterranei per nascondersi e organizzare altre rivolte”.
Guerriglia contro carri armati
A metà aprile la ZOB seppe di un’ulteriore grossa operazione di deportazione pianificata dalle SS, ed esortò i residenti del ghetto a ritirarsi nei bunker e nei nascondigli. I tedeschi, a loro volta, si organizzarono per far fronte a un’altra eventuale rivolta e nominarono a capo delle SS del ghetto di Varsavia il generale Jürgen Stroop, che aveva già avuto esperienze di repressione di insurrezioni e lotte partigiane negli anni Trenta. Stroop raggruppò sotto il suo comando circa 2mila soldati e poliziotti e li armò pesantemente, con artiglieria e carri armati.
Il 19 aprile 1943
Il 19 aprile del 1943 iniziò la rivolta della ZOB, guidata dal ventiquattrenne Mordecai Anielewicz e a cui parteciparono circa 700 giovani ebrei, tra cui molte donne. Erano armati solo di pistole, qualche fucile e granate, molte delle quali artigianali e costruite nelle settimane precedenti. La maggior parte di loro non aveva sufficiente addestramento militare, ma nonostante questo il primo giorno della rivolta combatterono agguerriti e con intensità, costringendo i tedeschi a ritirarsi fuori dalle mura del ghetto. Secondo il racconto del generale Stroop solo nel primo giorno di rivolta vennero uccisi o feriti 12 soldati tedeschi.
Guerriglia per 27 giorni
I combattimenti assunsero la forma di guerriglia e andarono avanti per 27 giorni, durante i quali anche l’intera popolazione del ghetto, compresi quelli che non si unirono alla lotta armata, fece di tutto per ostacolare i tentativi di deportazione dei nazisti, per esempio non presentandosi ai punti di raccolta e nascondendosi nei bunker sotterranei. Il successivo 8 maggio Stroop e le forze al suo comando iniziarono a riprendere gradualmente il controllo del ghetto partendo dall’edificio che era diventato il quartier generale della ZOB, al numero 18 di via Mila.
“Non è chiaro come morirono i leader del movimento armato. Secondo alcune ricostruzioni si suicidarono per evitare la cattura”.
16 maggio, «Il ghetto ebraico non esiste più»
La riconquista tedesca del ghetto si concluse il 16 maggio. I tedeschi demolirono l’area un pezzo per volta, procedendo isolato per isolato per catturare le persone all’interno degli edifici. Molti edifici furono bruciati, e la principale sinagoga della città, la Grande Sinagoga di via Tlomackie, fu fatta esplodere il 16 maggio del 1943. Lo stesso giorno Stroop dichiarò che «l’ex quartiere ebraico di Varsavia non esiste più».
42 mila sterminati nella Erntefest
Nelle settimane successive le SS e la polizia tedesca arrestarono e deportarono circa 42mila persone. La maggior parte di loro fu uccisa nel novembre del 1943, nell’operazione poi divenuta nota come Erntefest, ‘Operazione Festa del Raccolto’. Altre 7mila persone furono uccise direttamente nel ghetto.
Mattarella e il fascismo italiano
Mattarella: «Ad Auschwitz un crimine senza oblio né perdono». Il capo dello Stato dopo aver visitato il museo di Auschwitz. «Fare memoria dei milioni di cittadini assassinati da un regime sanguinario come quello nazista che, con la complicità dei regimi fascisti europei che consegnarono propri concittadini ai carnefici, si macchiò di un crimine atroce contro l’umanità. Un crimine che non può conoscere né oblio né perdono». Memoria chiave quando ancora oggi qualche politico inciampa nella vergogna della ‘grande sostituzione’. Non più quella ebraica dei nazisti, ma quella dei nuovi migranti, riesumata più da stupidi che da eredi di quella lontana mostruosità.
«L’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo e l’indifferenza, il delirio e la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli».
Articolo di Ennio Remondino, dalla redazione di
19 Aprile 2023