NON FA CENTRO LA VIGNETTA DEL FATTO QUOTIDIANO

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI  

Stavolta il Fatto Quotidiano ha toppato. Ma non per i motivi indicati da soggetti come Calenda, Renzi o La Russa, ossia «quella vignetta non fa per niente ridere», e le cui rispettive facce porranno sempre e comunque seri dubbi sulla validità delle loro affermazioni. La satira non deve necessariamente far ridere.

Nessuno ha mai pensato che Picasso volesse far ridere quando dipinse La Guernica, rappresentando con impareggiabile efficacia le sofferenze della città basca bombardata dall’aviazione tedesca nel 1937. Quel capolavoro fu un pugno alla Germania e alla sua tracotanza.

Perché è questa la funzione della satira: colpire, qualcuno o qualcosa al di sopra di tutti. Generalmente lo fa con una battuta, o comunque con una rappresentazione prettamente umoristica. Ma se tale rappresentazione non fa ridere, potrebbe significare che l’autore o non voleva far ridere, o semplicemente non c’è riuscito.

In effetti, la vignetta del Fatto è puerile, perché ripropone l’ormai trito e ritrito luogo comune della donna che tradisce il partner con l’uomo di colore, sul presupposto di una sua maggiore virilità. Insomma, effettivamente non fa ridere.

Ma va posta una domanda: la vignetta realizza quello che secondo la giurisprudenza è il solo elemento caratterizzante la satira, ossia il nesso di coerenza causale tra la qualità della dimensione pubblica del personaggio preso di mira e il contenuto del messaggio satirico? Sul presupposto che quando la satira ha un senso, un significato, è sempre legittima.

Se il bersaglio della vignetta è Francesco Lollobrigida, ministro dell’agricoltura e cognato di Giorgia Meloni, la risposta è sì. Vediamo perché.

Da un lato, il ministro ha parlato di un processo di sostituzione etnica avviato da un’immigrazione pressoché incontrollata, destinato nel tempo a portare alla scomparsa della nostra cultura, dei nostri valori e della nostra stessa etnia. A contrasto di tale tendenza, fra le varie misure proposte, quella di incentivare la natalità. Ecco l’argomento che, in questo periodo, individua la dimensione pubblica di Lollobrigida.

Dall’altro, la vignetta descrive l’ineluttabilità del fenomeno: è inutile cercare di salvaguardare la «purezza» della nostra etnia, perché vi saranno sempre più coppie miste. Ecco il contenuto del messaggio satirico, che nel voler contrastare l’argomentazione del ministro risulta «coerente» con essa.

Il problema, però, è che uno degli elementi della coppia mista raffigurata nella vignetta è la moglie del ministro Lollobrigida, come si desume senza equivoci dalla didascalia. Che per coincidenza è Arianna Meloni, la sorella della premier. Se è vero che il bersaglio reale della satira del Fatto è il ministro, è altrettanto vero che in quel bersaglio ci rientra in pieno anche lei, che è tutt’altro che un personaggio pubblico.

E arriviamo al punto. La satira mette alla berlina il personaggio al di sopra di tutti, l’intoccabile per definizione. Esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Da questo punto di vista, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza. Non a caso è spesso tollerata persino nei sistemi autoritari, fortemente motivati a mostrare il volto «umano» del regime.

Ma Arianna Meloni, non essendo un personaggio pubblico, non ha alcun rapporto con la collettività, che proprio per questo non ha alcun interesse reale a vederla sbeffeggiata. Fare di un personaggio privo di rilevanza pubblica il bersaglio di una rappresentazione satirica è del tutto inutile, perché il mettere alla berlina un personaggio anonimo non fa discutere.

Il personaggio anonimo è come un involucro vuoto: non vi è nulla da dire, né da scherzare, su di lui. Il nostro ordinamento, se impone al personaggio pubblico di tollerare il proprio sbeffeggiamento, quando funzionale alla crescita culturale e intellettuale del pubblico (alla quale anche una vignetta satirica, nel suo piccolo, può contribuire), non permette che un personaggio anonimo venga consegnato al pubblico ludibrio, proprio perché da ciò non potrebbe mai derivare alcun arricchimento culturale e intellettuale per la collettività.