DI ANTONELLO TOMANELLI
«Con un gesto di dignità e di consapevole autovalutazione della sua totale inadeguatezza, Di Maio prenda atto che l’area di governo attuale non si riconosce nella sua designazione. A ciò si aggiunga la sua totale e accertata incapacità. Si è vista sul campo la sua incapacità di distinguere le capitali degli Stati o i verbi della lingua italiana. Eviti di ricoprire di vergogna l’Europa e l’Italia e rinunci con immediatezza».
Sono le durissime parole di Maurizio Gasparri alla notizia della scelta di Luigi Di Maio alla carica di inviato speciale della UE per il Golfo. Non di Napoli ovviamente, ma quello persico, dove si trattano le più importanti forniture energetiche e di gas.
Per la prima volta mi trovo costretto a dare ragione a un soggetto come Maurizio Gasparri, pur guardandolo in faccia. In effetti, quanto deciso da Josep Borrell ha dell’incredibile.
Luigi Di Maio deve questa nomina a Mario Draghi, suo principale sponsor. Cosa avrà visto Draghi in questo giovane dall’ottima conoscenza della lingua napoletana, una discreta di quella italiana e un livello di inglese nettamente inferiore a quello di Matteo Renzi, è un mistero. Ma è capace di tradire il proprio elettorato per una agognata poltrona. Dunque, massima affidabilità.
Alle ultime elezioni la sua nuova forza «Impegno Civico» ha ottenuto risultati da prefisso telefonico: 0,56%. Un dato che lo ha buttato fuori dal Parlamento, ma anche spinto a rendersi irreperibile e addirittura a cancellare i suoi profili su facebook e tiktok.
Questa nomina era stata già preannunciata lo scorso novembre. Ma le reazioni non furono tenere. Le Monde scrisse che «mandare Di Maio nel Golfo dimostra che la UE non è seria». Non usò eufemismi Mohammed Baharoon, direttore del centro di ricerca sulle politiche pubbliche di Dubai, Emirati: «La nomina di Luigi Di Maio deve avere un profondo senso dell’umorismo europeo che mi sfugge».
In questo caso l’umorismo europeo sfugge un po’ a tutti, a quanto pare. I principali difetti di Di Maio: un livello culturale tra i più bassi mai visti in certi ambienti e la scarsa capacità di realizzare, prima di parlare, il tipo di contesto in cui si trova.
Colloca il generale Pinochet al comando del Venezuela degli anni ‘70. Rimprovera il governatore della Puglia Emiliano di non fare abbastanza per Matera. In conferenza stampa chiama più volte il premier cinese Ping, come se qualcuno in contesti ufficiali avesse chiamato l’ex premier italiano «Berlusca».
Da ministro degli Esteri litiga con la Francia incontrando addirittura i Gillet Gialli. In risposta, Macron fa richiamare l’ambasciatore francese a Roma. E così, Luigino corre ai ripari scrivendo una commovente lettera a Le Monde, in cui loda «la tradizione millenaria della democrazia in Francia», nonostante la testa di Luigi XVI fosse rotolata soltanto nel 1793.
Sempre da ministro degli Esteri, mentre tesse rapporti con i Paesi Arabi produttori di petrolio, abbraccia il ministro degli esteri iraniano Hossein Amirabdollahian dicendogli con la faccia seria: «rispettiamo la sovranità e le leggi della Repubblica islamica dell’Iran e siamo d’accordo con voi che rispondere alle richieste pacifiche delle persone è separato dal caos e dal terrorismo». Insomma, una benedizione del regime degli Ajatollah, con gli USA che ascoltano increduli.
Un piccolo incidente di percorso, probabilmente dovuto al fatto che Di Maio non aveva capito bene con chi stesse parlando. Ma che non gli ha creato alcun problema, perché i potenti della terra sanno bene chi è Di Maio. Una scoria del governo dei Migliori, premiato da Draghi non fosse altro che per la sua indiscutibile fedeltà agli USA e ai suoi galoppini europei.
Ora è inviato speciale nel Golfo Persico, per una retribuzione mensile di circa 12 mila Euro netti. Una paga strabiliante, per uno come lui. Si prevedono altre numerose gaffe. Ma l’importante è che faccia i compitini come da dettato UE. Tanto, in Italia, non dovrà più rendere conto nemmeno a un elettore, questo pavido.