DI VIRGINIA MURRU
L’Italia è l’ultima in Ue per livello di retribuzioni, e si tratta di un riflesso sociale che rispecchia anche il grado di avanzamento civile di un Paese, la differenza di trattamento con i lavoratori del Nord è notevole.
Vale la pena ricordare che il salario minimo in tutta Europa di recente è aumentato. In un Paese dell’Unione più che in altri. Si tratta della Lettonia, dove l’incremento sarà per il corrente anno pari al 24%. L’Ue, con una sua direttiva in merito, e al fine di combattere la povertà, ha imposto ai Paesi membri di garantire un salario minimo dignitoso per tutti. In Italia è ancora un obiettivo non semplice da raggiungere.
L’equa determinazione del salario, del resto, è sancita dalla stessa Costituzione, il cui articolo 36 al riguardo prevede che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, comunque sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Ma è un diritto tutt’altro che garantito per molti lavoratori, e nel 2022 la mancanza di garanzia e tutela salariale è emersa in tutta la sua precarietà.
Secondo un articolo pubblicato da Repubblica, nessun settore del mercato del lavoro italiano è riuscito a tenere il passo con l’inflazione in continua crescita, arrivata a sfiorare il 9%. L’impennata dei prezzi ha scosso fortemente il valore reale dei salari, la differenza tra l’inflazione e l’irrisorio aumento delle retribuzioni orarie contrattuali è arrivata a 7,6 punti, un livello quale mai si era verificato in precedenza, con un incremento medio di 1,1%.
Ci sono state fasce di lavoratori che hanno sofferto più di altri per l’andamento galoppante del tasso d’inflazione, meno peggio è andata nel settore agricolo (anno di riferimento sempre il 2022), e i dipendenti pubblici, che hanno tratto qualche vantaggio dal tardivo rinnovo del contratto, scaduto nel 2021. Ferme le retribuzioni orarie dei lavoratori nei servizi, dove si riscontra una maggiore incidenza di contratti collettivi scaduti, dai quali hanno tratto profitto i datori di lavoro, che hanno così tenuto ferme le buste paga.
A mandare giù malumori, oltre ai lavoratori, sono stati i sindacati, che hanno inevitabilmente protestato con l’esecutivo, e dopo le promesse – disattese – Landini, segretario della Cgil, ha espresso il suo disappunto affermando che le scelte della premier ‘sono solo una presa in giro’.
Alcune categorie sono state meno esposte all’erosione degli stipendi dovuta all’aumento continuo dei prezzi, si tratta dei vigili del fuoco e i dipendenti dei ministeri.
In alcuni paesi i rinnovi contrattuali hanno cercato di adeguarsi all’inflazione, dinamica tanto scongiurata dalle Banche centrali, fenomeno che tuttavia non ha riguardato l’Italia. Il rinnovo si è limitato da noi a non favorire la tendenza in corso in altri paesi europei. Ma niente da paragonare, per esempio ai metalmeccanici tedeschi, che in due anni hanno recuperato l’8,5%, per ovvie ragioni di produttività.
I fortunati dipendenti della PA hanno ricevuto lo scorso anno gli arretrati in busta paga per i contratti scaduti alla fine del ’21. Ma l’attuale esecutivo, nel Def per il prossimo triennio, nel quale ci saranno i rinnovi, non ha previsto risorse.
E torneremo da capo, come il cane che si morde la coda, a meno che non intervengano fattori favorevoli per una sostenuta ripresa della crescita. Ovvero rivolgimenti importanti a livello internazionale sull’attuale assetto geopolitico, che è l’elemento d’incertezza più destabilizzante per l’economia globale.