BATTUTI E UMILIATI

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Il 30 aprile 1975, i vietcong e l’esercito popolare nordvietnamita entrano a Saigon, capitale del Vietnam del Sud. Quel giorno segna la fine della Guerra del Vietnam scoppiata nel 1955.

È la prima vera sconfitta politico-militare degli Stati Uniti. L’immagine degli ultimi elicotteri che si alzano in volo dal tetto dell’ambasciata USA e portano in salvo sulle portaerei i diplomatici americani diventa l’immagine simbolo della disfatta americana.
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Con un rocambolesco ponte aereo verso le navi della Settima Flotta gli ultimi americani, con la coda fra le gambe, abbandonano Saigon. Partono con loro anche alcune migliaia di sudvietnamiti, “compromessi” con il regime di Nguyen Van Thieu.
Saigon viene subito ribattezzata Ho Chi Minh City, in onore del leader comunista Ho Chi Minh.
<<Saigon è caduta: l’America scossa dalla sconfitta>>. Titola con una punta di rammarico il solito Corriere della sera.
Un conflitto brutale, che costa al Vietnam oltre 5 milioni di vittime, in grandissima parte civili.
Gli aerei e gli elicotteri Usa sparsero tonnellate di erbicidi e defolianti, non soltanto sulla giungla, ma anche su villaggi e campi coltivati.
Un genocidio.
Gli Stati Uniti perdono invece circa 60mila uomini appartenenti alle forze armate. 300 mila i feriti.
Riavvolgendo il nastro tutto inizia nel maggio del 1954, quando le truppe francesi vengono sconfitte dai vietnamiti a Dien Bien Phu.
Due mesi dopo, gli accordi di Ginevra sull’Indocina riconoscono l’indipendenza di Cambogia, Laos e Vietnam, che viene però diviso in due sulla linea del 17° parallelo: al Nord la Repubblica democratica del Vietnam con capitale Hanoi, appoggiata da Urss e Cina popolare, al Sud un regime anticomunista con capitale Saigon, dove gli Usa prendono il posto della Francia, l’ex potenza coloniale.
Al Sud nasce un movimento di resistenza, che organizza la guerriglia con il sostegno del Vietnam del Nord.
Gli Stati Uniti terrorizzati che sotto quelle latitudini possa germogliare il comunismo si buttano a capofitto nel conflitto. Arrivano ad impegnare mezzo milione di uomini nel 1967.
Ma negli Usa la guerra diventa sempre più impopolare e uno dei detonatori delle contestazioni studentesche nei campus. Fino ad allargarsi a macchia d’olio insieme alle contraddizioni sociali e razziali.
Il 1968 è l’anno del massacro di My Lai: il 16 marzo una compagnia di marines uccide per rappresaglia 347 civili vietnamiti, soprattutto anziani, donne e bambini, in un piccolo villaggio a circa 800 km a nord di Saigon. Il massacro viene occultato dai generalissimi delle forze armate americane. Ma un coraggioso reporter Seymour Hersh, farà luce sulla strage inchiodando alle loro responsabilità i vertici del Pentagono.
A partire dal 1973 gli americani iniziano a tirarsi indietro. Nel 1974 Nixon si dimette, travolto dallo scandalo Watergate. Con l’inizio del 1975 scatta l’offensiva finale dei nordvietnamiti e dei vietcong fino alla capitolazione di Saigon.
Battuti e umiliati. Per l’ennesima guerra inutile.
Robert McNamara, capo del Pentagono – sotto i presidenti Kennedy e Johnson – arriverà a dichiarare <<ingiusta>> la guerra in Vietnam.