DI ANTONELLO TOMANELLI
Il 1° maggio è una data simbolo per i lavoratori, ma anche una data di sangue. In quel giorno del 1867 entrò in vigore nello Stato dell’Illinois la storica legge che limitava a otto il numero massimo di ore lavorative giornaliere. Ma una simile legge in vigore in un solo Stato era troppo poco. La tutela andava gradualmente estesa a macchia d’olio in tutti gli USA, concordarono lavoratori e sindacati.
Il 1° maggio 1886, quando ancora la legge stentava a decollare nel resto della Federazione, i lavoratori indissero uno sciopero generale a Chicago. Per i capitalisti USA la misura era colma. Migliaia di poliziotti furono mandati a reprimere la rivolta, sparando sulla folla. Numerosi i morti, ma rabbiosa la reazione dei manifestanti, che lanciarono una bomba contro la polizia: sei morti e cinquanta feriti. I responsabili furono tutti impiccati. Otto von Bismark ne vietò qualsiasi commemorazione.
A distanza di un secolo e mezzo, le cose sono certamente migliorate. Ma sull’argomento retribuzione ci sarebbe molto da ridire. La bella frase scolpita nell’art. 36 della nostra Costituzione («Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa») rimane un po’ una chimera. L’ha fatto intendere bene il tribunale di Milano un mese fa, considerando vergognosi quei 3.96 Euro l’ora garantiti alla receptionist di una società di vigilanza privata.
In questo cupo contorno, Maurizio Landini, capo della CGIL, non trova di meglio da fare che criticare la decisione del governo Meloni di riunirsi proprio il giorno del 1° maggio per abbozzare un dl sul lavoro. «È un segnale diseducativo riunirsi il 1° maggio. Oggi è la festa del lavoro, non è la festa del governo», sbraita. Insomma, per Landini il 1° maggio nessuno dovrebbe lavorare.
Ma lui, dall’alto dei suoi 60 mila Euro netti l’anno più benefit, non arriva a capire che per tutti quei lavoratori (e sono tanti) che faticano ad arrivare a fine mese, lavorare il 1° maggio è una necessità. E dire che Landini dovrebbe sapere bene a cosa portano salari da fame. Nacque soltanto un anno dopo e a una manciata di km dai fatti di Reggio Emilia del luglio 1960, quando la polizia usò i mitra contro un corteo di lavoratori che chiedeva migliori salari e migliori condizioni lavorative. Ne morirono cinque, tutti iscritti al PCI.
Probabilmente i lavoratori italiani sarebbero ben grati a Landini, se si mettesse seriamente a lavorare su quella che è la funzione principale del sindacato: la contrattazione collettiva. Giusto per non dover attendere un tribunale a spiegargli che l’applicazione del principio della retribuzione dignitosa, contenuto nell’art. 36 della Costituzione, è proprio nelle sue mani.