SU ISRAELE ALLE PRESE CON NETANYAHU, ANCHE LA CAMPAGNA PRESIDENZIALE USA

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

 

Ieri, in visita a Gerusalemme, c’era il repubblicano Kevin McCarthy, il portavoce della Camera del Congresso degli Stati Uniti. Terza carica Usa e nemico giurato del Presidente Biden. Guidava una delegazione di deputati, che si sono recati alla Knesset, il Parlamento israeliano, e hanno ribadito il loro appoggio al chiacchieratissimo Primo Ministro Netanyahu. E qui inizia la provocazione e la sfida.

Il “trumpismo” Usa a destra di Netanyahu

In attesa di un invito ufficiale alla Casa Bianca di Biden che non arriva, il premier israeliano Netanyahu deve accontentarsi di quello di Kevin McCarthy a visitare il Congresso. Con dubbi e disagi diffusi in casa americana anche nella numerosa diaspora ebraica e non solo di area democratica. Natanyahu e i suoi governi di destra, in genere coalizioni tra il Likud e i partiti religiosi, durano poco, e finiscono sempre dopo qualche guerra. Per ora è scontro in casa, con una contro riforma della giustizia, che ricorda un Regno del basso Medio evo, più che una moderna democrazia industriale. Democrazia minacciata, opposizione da mesi in piazza, Paese lacerato. E i rapporti tra Washington e Gerusalemme che stavamo mostrando già qualche crepa, si sono guastati.

“Il piano ha diviso gli israeliani e ha attirato un raro rimprovero pubblico da parte di Biden. Tra le tensioni, Biden ha finora negato a Netanyahu un invito tipicamente consueto alla Casa Bianca dopo la sua vittoria elettorale alla fine dell’anno scorso”.

Bibi e Trump, somma di “impresentabili”

La settimana scorsa, in Israele è arrivato anche l’unico candidato che ha qualche chance di strappare la nomination repubblicana a Donald Trump: Ron DeSantis. La sua visita non ha avuto il clamore di quella di Kevin McCarthy, anche perché il Governatore della Florida deve ancora annunciare, ufficialmente, la sua candidatura. Resta il fatto che, anche DeSantis, ha praticamente iniziato la sua campagna elettorale, cercando di sfruttare la sua visibilità, in un Paese che concorre alle fortune degli Stati Uniti con la forte diaspora ebraica. Di fatto i Repubblicani stanno facendo i conti con i sondaggi, che ancora premiano come sfidante vincente per le Presidenziali 2024, Trump ‘l’impresentabile’.

La Bomba iraniana

La sicurezza nazionale, dicono in Israele, non è negoziabile. E su come potrebbero cambiare gli scenari, con un Iran diventato potenza nucleare, c’è poco da farsi illusioni. Gli israeliani colpirebbero prima, anche a costo di non avere il via libera americano. D’altro canto, anche l’Amministrazione Biden sta giocando le sue carte nella regione e non è detto che, finora, lo abbia fatto correttamente. È sempre difficile interpretare gli umori della popolazione, figuriamoci se si tenta di gestirli.

Il ministro fuori tutto

Fa pensare, nello scoppio di questa violenta crisi diplomatica tra Washington e Gerusalemme, l’ultima presa di posizione del Ministro della Giustizia Yariy Levin, che ha accusato gli Stati Uniti di fomentare addirittura i disordini nelle piazze e nelle strade, contro la riforma voluta dal Governo Netanyahu. Secondo il Jerusalem Post, che riassume la dichiarazione, si tratta di parole molto gravi, come ha sottolineato lo stesso Benny Gantz, ex responsabile della Difesa.

“Gantz ha ribadito che Israele non può permettersi il lusso, qualunque sia la ragione, di perdere l’appoggio degli Stati Uniti, perché resterebbe da solo”.

Democrazie a rischio

Ma il Jerusalem Post cita le dichiarazioni ufficiali del Dipartimento di Stato Usa, secondo le quali l’Amministrazione Biden ha finanziato una ONG anti-Netanyahu, chiamata ‘Movimento per un governo di qualità’. Il problema, adesso, è capire se è più vero quanto scrive il quotidiano israeliano Haaretz, e cioè che la visita di McCarthy mette Netanyahu in rotta di collisione con Biden, o se, proprio per questo, la politica estera americana, in tutto il Medio Oriente, non ne esca ridimensionata.

“Bisognerà aspettare e vedere quali mosse vorrà fare la Casa Bianca, per arginare lo smottamento prima che diventi valanga inarrestabile. La nostra sensazione è che, alla fine, qualcuno dentro il Consiglio per la Sicurezza nazionale convincerà Biden a fare il primo passo. Invitando Netanyahu a Washington”.

 

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di

2 Maggio 2023