DI PIERO ORTECA
Biden rientrerà in anticipo dal G7 per negoziare sul tetto del debito col Congresso. Cancellate due tappe del suo viaggio, il summit dell’alleanza Quad in Australia e la prima visita di un leader Usa in Papua Nuova Guinea.
Le due tappe cancellate in Asia servivano a sottolineare l’impegno americano nel Pacifico di fronte all’avanzata della Cina. La credibilità internazionale degli Stati Uniti potrebbe esserne danneggiata?
Sarà il premier indiano Modi, che si recherà sia in Papua Nuova Guinea che in Australia, ad attirare l’attenzione in quei Paesi nei prossimi giorni.
«L’America non può andare in default. Sarebbe catastrofico. Non saremmo più visti come leader mondiali a livello economico». Ma il mondo qualche dubbio già lo ha. Allerta di supremazia strategico economica del presidente Biden. Ma non è solo debito pubblico. La Federal Reserve Bank sull’indebitamento privato delle famiglie americane, che sarebbe aumentato di 148 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2023.
Guerra civile Usa
Il Paese è così politicamente spaccato in due, da rischiare il ‘default’ del bilancio federale. Se non si alzerà il ‘tetto del debito’, all’inizio di giugno, il governo non riuscirà più a far fronte a molti dei suoi impegni. E saranno dolori. In pratica, il Congresso deve autorizzare Biden a fare più debiti, per fare funzionare la macchina statale. Finora il limite era fissato a 31,4 trilioni di dollari, ma evidentemente non bastano. Ora, dopo che i Repubblicani hanno riconquistato la Camera, la Casa Bianca dovrà mercanteggiare fino all’ultimo centesimo con l’opposizione già scatenata per le presidenziali 2024.
Per un trilione e mezzo in più
Un disegno di legge repubblicano per alzare il debito di un altro trilione e mezzo di dollari ma tagliando la spesa federale di 4,8 trilioni in dieci anni ha alzato la portata politica delle sfida. E per sottolineare la delicatezza della situazione, il Presidente ha annunciato che taglierà alcune delle tappe del suo tour asiatico per essere presente ai colloqui indispensabili per arrivare a un’intesa, visto che il tempo stringe.
Dietro il bilancio la partita politica
Nessuno vuole (a parole) il fallimento dello Stato, ma tutti, per ora, restano arroccati sulle loro posizioni, pensando che siano gli altri a dover cedere. Lo Speaker del Congresso McCarthy, per assicurare il voto favorevole dei Repubblicani, esige corposi tagli alla spesa pubblica, su settori chiave della politica sociale democratica. E saltano fuori tensioni e logiche elettoralistiche, mentre il default è dietro l’angolo. Nessuno vuole fallire, certo, ma chi danneggerebbe di più una simile evenienza?
“E qui le analisi già si sprecano, anche se, a nostro giudizio, gli Stati Uniti stanno scherzando col fuoco, facendo condizionare ogni aspetto della loro vita politica attuale, domestica e internazionale, dalle prossime elezioni presidenziali”.
Il folle sistema politico americano
In ballo non ci sono solo i mancati pagamenti (garantiti dallo Stato) per obbligazioni del Tesoro, stipendi di militari e di diverse Agenzie federali e alcuni settori pensionistici, tanto per fare un esempio. Col ‘default’ viene messa in gioco tutta la credibilità e il senso di responsabilità del sistema-paese. I Buoni del Tesoro Usa, detenuti da molte Banche centrali, verrebbero declassati. Secondo il Financial Times, che cita fonti ufficiali della Casa Bianca, «un default di breve durata comporterebbe la perdita di mezzo milione di posti di lavoro e un calo dello 0,6% del Pil. Un periodo più lungo causerebbe circa 8,3 milioni di disoccupati e un abbassamento del Prodotto interno lordo fino al 6,1%. I costi per i prestiti, in entrambi i casi, aumenterebbero».
Fallire no, ma instabilità finanziaria
Gli Stati Uniti, come Paese debitore, non possono fallire, è chiaro. Ma possono entrare in una spirale di instabilità finanziaria che altera gli equilibri dei tassi, già sottoposti a violente pressioni inflazionistiche. Scordatevi, dicono gli esperti, che la Federal Reserve possa intervenire. Perché il problema è essenzialmente politico, anzi di politica interna, perché alla più importante democrazia del pianeta comincia a mancare una reciproca legittimazione tra gli schieramenti.
La colpa fu
I Repubblicani accusano Biden di avere rotto gli argini della spesa, secondo la vecchia strategia che i soldi pubblici creano consenso e portano voti. I Democratici rispondono, ‘storico alla mano’, che i deficit federali si sono accumulati per i selvaggi tagli alle aliquote fiscali attuati da Presidenti ‘old style’ come Reagan, Bush e Trump. L’anima liberal dell’America, insomma, ha cercato di sposare una visione più sociale dell’economia di mercato, e questo non sempre è andato d’accordo con le sue radici ‘wasp’ (White Anglo-Saxon Protestant). A guardare la ‘lista della spesa’ federale, al primo posto, nominalmente, comunque c’è la Sicurezza sociale (1,22 trilioni di dollari), seguita dalla Sanità (914tr.). Quarta la Difesa (767tr.) e sesta l’Istruzione (677tr.).
“Il problema, adesso, è fare in modo che i veleni che hanno inselvatichito il clima politico americano, non finiscano per rovinare anche le cose buone di quel sistema. Prima di partire per il Giappone, Biden si è detto ‘ottimista’ sulla possibilità di raggiungere un accordo. Nel frattempo Asia e Indo-Pacifico diventano ancora un po’ meno americani”.
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AVEVAMO DETTO
Articolo di Piero Orteca dalla redazione di
18 Maggio 2023