ANCORA ERDOGAN. TURCHIA TRA CRISI ECONOMICA E DI DEMOCRAZIA

DA REDAZIONE

REDAZIONE

 

 

«Erdogan il Sultano», «camaleonte del potere», tra i molti titoli sullo scomodo personaggio con cui il mondo dovrà continuare a fare i conti. Quali conti saranno, è al momento difficile capirlo, vista la devastante crisi economica e di democrazia sostanziale che la Turchia sta attraversando. Resta il personaggio Erdogan riconfermato dove venti anni di potere molto discusso, alche lui personalmente un enigma.

“Baba Tayyip” allora libertario

Nel 2003 ha conquistato il suo popolo facendo della libertà di espressione il suo cavallo di battaglia in modo da superare la laicità esasperata dello Stato, imposta dal fondatore della Repubblica Kemal Atatürk. In quell’epoca ‘Baba Tayyip’, Papà Tayyip, come lo chiamano affettuosamente i suoi elettori, predicava l’apertura alle minoranze e la tolleranza. Poi è stato tante altre diverse cose, una successione ininterrotta di svolte che hanno trasformato la Turchia e ma che ora rischia di travolgerla. In attesa dei prossimi colpi di scena, fin che il Paese potrà permetterselo.

Dieci anni dalla rivolta di Gezi Park

Il ballottaggio che avviene a dieci anni dalla rivolta giovanile di Gezi Park, e sembra un segno del destino. Dieci anni da quando, il piglio decisionista del presidente svelò l’aspetto più autoritario e sprezzante del suo potere. «Come sarà e dove andrà la Turchia di Erdoğan è un interrogativo che sentiremo riecheggiare ancora a lungo nel prossimo futuro», avverte ISPI. Di fronte alle numerose sfide che attendono Erdoğan tanto sul piano interno quanto su quello internazionale, a partire dal ruolo della Turchia nel conflitto russo-ucraino.

Ak Parti tra potere e corruzione

La vittoria alle elezioni legislative della coalizione di governo di Erdoğan (che potrà contare su una maggioranza di 322 seggi su 600) garantirà al neopresidente di governare senza preoccuparsi dell’opposizione del parlamento. Ma se da un lato il cammino della Turchia che verrà’ appare delineato, non c’è garanzia che ciò voglia dire stabilità. Anzi. I risultati delle urne hanno restituito il volto di un paese fortemente diviso e polarizzato tra chi sostiene Erdoğan e chi invece è colpito dal suo sistema di potere. La numerosa minoranza curda per prima.

Dossier scottanti in politica interna

La ricostruzione delle zone terremotate e la questione dei rifugiati siriani presenti in Turchia restano i dossier più spinosi in politica interna. Per le zone colpite dal devastante terremoto del 6 febbraio Erdoğan ha promesso la costruzione di oltre 300.000 case entro un anno. Iperbolico come sempre, mistero su dove trovare quei 103 miliardi di dollari (circa il 9% del Pil turco per il 2023) che servirebbero. Sui rifugiati siriani, quasi quattro milioni, restano la spinte nazionalistiche di larga parte della popolazione per i respingimenti, contro i miliardi dell’Ue per contenere il flusso dei migranti.

Economia malata: disoccupazione e inflazione

«L’economia turca versa in uno stato di salute critico, aggravato dagli effetti della pandemia da Covid-19, dalle ripercussioni della guerra in Ucraina sui prezzi delle materie prime e dei generi alimentari e dalle conseguenze del terremoto», la scheda ISPI. A preoccupare particolarmente sono disoccupazione e inflazione al 10% e al 43,7%. E il deprezzamento della lira che ha perso il 60% del suo valore rispetto al dollaro negli ultimi due anni, hanno colpito soprattutto i ceti medio-bassi.

Ancora tassi bassi e denaro facile?

In campagna elettorale Erdoğan ha promesso una crescita economica elevata, sei milioni di nuovi posti di lavoro e una maggiore spinta per il turismo. Tuttavia, al momento sembra improbabile che il presidente si discosterà dalle posizioni assunte in materia di politica monetaria. Basso costo del denaro a contrastare l’inflazione, favorire le esportazioni e attrarre investimenti, in controtendenza rispetto alla politica economica del resto del mondo.

Attivismo diplomatico

Negli ultimi anni il presidente turco ha fatto dell’attivismo diplomatico una chiave di volta del proprio successo in politica estera. Dalla Libia all’Azerbaigian, passando per un rapporto speciale con Vladimir Putin, Erdoğan ha operato su tutti i fronti caldi. Primo fra tutti l’Ucraina, dove Ankara ha sapientemente bilanciato la propria posizione fra Kiev e Mosca svolgendo un ruolo di mediazione fondamentale per il raggiungimento dell’accordo sul grano concluso sotto l’egida delle Nazioni Unite.

NATO ma non troppo

Nell’era Erdoğan la Turchia si è confermata un alleato importante della NATO, ma i rapporti con il blocco transatlantico non sono sempre facili. Il presidente turco ha stretto forti legami economici con la Cina e soprattutto con la Russia (rispettivamente terzo e primo partner commerciale di Ankara nel 2022). Sotto il nuovo corso, è molto probabile che la Turchia continuerà con la sua politica di diversificazione.

L’impero ottomano

“Con continui riferimenti all’impero ottomano il presidente non ha nascosto l’obiettivo di riconciliare la Turchia moderna, nata sulle macerie di quell’impero, con il suo glorioso passato. Dopo la vittoria alle elezioni, Erdoğan continuerà a perseguire l’obiettivo di ‘rendere la Turchia di nuovo grande’ mentre si prepara a festeggiare il centenario della fondazione della Repubblica. Se il Paese riuscirà a sopravvivere”.

***

AVEVAMO DETTO

 

Articolo pubblicato dalla redazione di

29 Maggio 2023