DI PIERO ORTECA
Il governo di Buenos Aires alle prese con una situazione finanziaria ormai ingestibile e con la moneta nazionale, lo svalutatissimo ‘peso’, che non può più essere stabilizzato dalla Banca centrale. Secondo stime degli esperti, le riserve in valuta estera dell’Istituto di emissione argentino non superano il miliardo e mezzo di dollari. Niente.
Prossime elezioni, legislative e presidenziali, a ottobre.
La dimensione della crisi sulla pelle della gente
In sei mesi, il ‘peso’ si è svalutato del 40% rispetto al dollaro. E questo si è verificato al mercato nero delle valute, cioè quello che è il termometro reale del valore stabilito da domanda e offerta di mercato. Il crollo a precipizio del peso è stato accompagnato, naturalmente, da un rialzo astronomico dei prezzi che, quest’anno, dovrebbero esplodere fino al 145%. Un’altra nota dolentissima riguarda il Prodotto interno lordo, che nel 2023 dovrebbe diminuire, facendo segnare addirittura una recessione (-3,5%). È chiaro che si tratta di numeri che pongono le premesse per squilibri politici e turbolenze sociali. È quello che vorrebbe evitare a tutti i costi il governo in carica, col Ministro dell’Economia, Sergio Massa, che sta facendo i salti mortali per scongiurare da un lato la corsa verso l’iperinflazione e dall’altro un drammatico default.
Politica in fuga, arrivano Cina e BRICS
Tra le altre cose, Sergio Massa dovrebbe essere il candidato peronista di punta alle prossime Presidenziali, perché hanno già detto che non si candideranno sia l’uscente Alberto Fernandez, sia la sua vice, Cristina Fernandez de Kirchner. Il tempo, però, lavora contro Massa e le scadenze si fanno pressanti. L’Argentina ha bisogno immediatamente di liquidità, e i canali possibili sono quello solito del Fondo monetario internazionale o l’opportunità offerta dalla nuova generosità ‘geopolitica’ della Cina. Quest’ultima opzione potrebbe tradursi in un prestito diretto, di circa 5 miliardi di dollari, peraltro già contrattato, che andrebbe a sovvenzionare l’interscambio commerciale. Oppure in un deciso intervento da parte della New Development Bank, la banca per lo sviluppo controllata dal blocco dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). È uno dei motivi per il quale l’Argentina ha ufficialmente chiesto di entrare in questo potente blocco di Paesi, che fanno da contraltare al G7 e all’Occidente. Tuttavia, a molti analisti sembra chiaro che, prima o dopo, Buenos Aires dovrà raggiungere un’intesa operativa, rispettandola, con l’FMI.
Le ricche severità e la siccità
Il problema è che il Ministro Sergio Massa ha attribuito alla siccità la colpa del buco argentino nella bilancia dei pagamenti. Sarebbero state colpite, in particolare, le esportazioni di alcuni prodotti agricoli che generano molto reddito, tra cui la soia. La verità è che era già stata discusso, con il Fondo monetario, un sostegno finanziario di ben 44 miliardi di dollari. Ma, secondo i funzionari di Washington, l’Argentina non sarebbe stata ai patti e non avrebbe seguito le ‘raccomandazioni’ del FMI. In sostanza, adesso la situazione si è complicata e i prestiti in arrivo (auspicabilmente) dal Fondo, saranno erogati col contagocce e serviranno quasi esclusivamente a pagare i debiti pregressi. Ci si indebiterà, insomma, per pagare le vecchie pendenze, ma non ci saranno molte risorse da investire nella crescita e nello sviluppo del sistema-paese.
Argentina inattendibile
Certo, gli umori a Washington non sono dei migliori. Ci sono delle resistenze notevoli nel dare ancora carta bianca al governo argentino e nell’accogliere le richieste di Massa. Negli ultimi due anni, Buenos Aires ha praticamente disatteso tutti gli impegni presi, rinunciando a elaborare politiche economiche che avessero un minimo di riscontro sociale. Un approccio populista ha fatto stracciare gli obblighi sottoscritti, a cominciare dalla riduzione del deficit fiscale, proseguendo con l’aumento delle entrate e finendo con l’accumulo di nuove riserve valutarie. In definitiva, molti analisti accusano l’attuale governo di essersi mosso in ritardo e soltanto sotto la spinta dell’incipiente default valutario. Ora, Buenos Aires vorrebbe usare i dollari che arrivano dal Fondo monetario, non solo per ripagare i creditori ma anche per comprare ‘pesos’ e continuare a sostenere la propria valuta, anche per stabilizzare il cambio al ribasso, ma senza default.
“Certo, è una politica finanziaria che non può durare a lungo, ma che ai ‘descamisados’ peronisti potrebbe bastare fino alle elezioni, per non perdere troppo consenso”.
“Dollarizzazione”
Ovviamente, all’FMI guardano anche alle possibili alternative. E se una di queste dovesse essere Javier Milei, il candidato di estrema destra, allora non avrebbero dubbi: continuerebbero a preferire Massa. Anche perché Milei sostiene la ‘dollarizzazione’ dell’economia e ha intenzione di gettare il peso al macero.
“Se i sondaggi lo accreditassero di buoni ‘polls’ a fronte di questo programma, la gente, forse, scapperebbe dalla valuta nazionale. E i prestiti da restituire in ‘pesos’ si scioglierebbero, come un ghiacciolo nel microonde”.
Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di
13 Giugno 2023