DI CLAUDIO KHALED SER
Una massa inerme di cittadini egiziani che scivola sempre di più nella povertà e nell’inerzia senza alcuna possibilità di incidere sulle scelte del Paese, costantemente intimorita dal ricordo dalla “guerra civile” consumatasi nel 2013 e dalla silenziosa presenza di quei 66mila prigionieri politici, ancora detenuti nelle carceri del regime, che rappresentano un monito contro qualsiasi velleità di resistenza al dittatore.
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Questo é l’Egitto oggi, un Paese sull’orlo di un tracollo economico e sociale, tenuto (per il momento) al guinzaglio da un despota che ormai non controlla più nulla, ostaggio lui stesso di quei militari che lo hanno messo al potere per potersi spartire la carcassa dello Stato.
Sono loro, questi soldatini avidi e rozzi, i veri padroni dell’Egitto, arrivando oggi a possedere una sessantina di società operanti in numerosi settori produttivi e strategici, come il petrolio (Wataniya Petroleum), armi e vernici (Heliopolis Co.), la commercializzazione di acque (Safi), imprese edili (Maadi Co.) e di produzione di cemento (El Arish Cement Co.), alcune delle quali persino quotate in borsa. Infine, l’ultimo business delle forze armate è stata la produzione cinematografica, realizzata attraverso una società semi-monopolistica (la Synergy Art Production), nota per le sue produzioni nazionaliste incentrate sulla celebrazione dell’eroismo del popolo egiziano e sulla glorificazione postuma del colpo di stato.
Il fantoccio, chiuso nel suo palazzo, si rende conto d’essere Nessuno, il soprammobile di una giunta che potrebbe estrometterlo in un secondo, l’immaginetta da consegnare al Popolo, non per adorazione, ma solo per indicare la faccia del colpevole.
A dicembre 2022 il Cairo ha siglato l’ultimo accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per strappare 3 miliardi di dollari di prestiti aggiuntivi per finanziare il proprio debito pubblico, oggi attestato sui 163 miliardi di dollari e stimato pari al 95% del Pil.
Una situazione economica di crescente affanno che è dovuta alle grandi crisi mondiali degli ultimi anni – in particolare l’epidemia da Covid-19 e lo scoppio della guerra in Ucraina, con il suo forte impatto sulla esportazione di grano di cui l’Egitto è il principale importatore -, ma anche legata a problemi strutturali che il tiranno non è riuscito o non ha voluto affrontare, pena una nuova ondata di instabilità nel Paese.
Fino ad oggi, infatti, il canale preferito dal governo egiziano per ridurre il deficit di investimenti esteri è stato quello dell’assistenza finanziaria da parte dei Paesi del Golfo, e in particolare di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita – più flessibile di quella di Fmi e Banca Mondiale in quanto esente da vincoli formali, le cui sovvenzioni erano pressoché incondizionate. Solo formalmente, perché in realtà la dipendenza del Cairo dai Riyadh aveva già comportato la cessione all’Arabia Saudita delle isole egiziane di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso nel 2017 come forma di compensazione per i prestiti elargiti dal 2013.
Ma Il Cairo non è riuscito a rassicurare i potenziali investitori esteri sulla fluttuazione della sua moneta e sulla competizione sleale esercitata dalla galassia di aziende di stato detenute dall’Esercito, che, esentate da tasse (anche da imposta immobiliare e dalla nuova Iva introdotta nel 2016 a seguito delle riforme indotte dal Fmi) e da barriere tariffarie e doganali in ingresso e uscita dal Paese, nonché utilizzando la manodopera gratuita fornita dai soldati di leva (438.000 circa in servizio a cui si sommano le riserve), riescono a immettere sul mercato egiziano prodotti commerciali a metà del costo degli operatori privati.
L’ Egitto ha una popolazione prossima ai 106 milioni, con altissimi tassi di analfabetismo (25% ad oggi) e povertà (26.7% nel 2012, oggi salita a circa il 30% dopo la forte svalutazione della lira egiziana dal 2016).
Un Paese dove NON esiste nessun Diritto se non quello di obbedire alle follie dei militari, schiavo di un potere che si appoggia sulla ottusa condiscendenza dell’Europa, Italia in primis, complice tollerante di un dittatore e di una schiera di vermi in divisa.
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Dopo la Libia, dopo la Tunisia, l’Egitto rischia di sprofondare nel caos e gli effetti di questo imminente disastro si ripercuoteranno inevitabilmente su quella vecchia e stupida puttana chiamata Europa.