DI MARIO PIAZZA
Quando Aboubakar Sumahoro cadde nello scandalo e malamente tentò di rialzarsi peggiorando ad ogni comparsa in pubblico la propria situazione ne soffrii intensamente.
Ho sofferto per il compagno, per il fratello africano, per la stupidità del suo modo di difendersi, per la ferocia con cui fu fatto letteralmente a pezzi, per la facilità con cui tutti gli voltammo le spalle a partire dal suo stesso partito.
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Adesso che tocca a Daniela Santanchè provo una soddisfazione altrettanto intensa, sono una brutta persona e godo come un gorilla ma non posso fare a meno di notare come i camerati della pitonessa abbiano organizzato intorno a lei un apparato difensivo che soltanto la magistratura potrebbe riuscire e superare.
E se accadrà lo chiameranno un processo politico e i giudici verranno etichettati come zecche rosse e le stesse leggi ad personam che hanno salvato nonno Silvio decine di volte probabilmente salveranno anche la maitresse del Twiga.
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Succede quando la politica è sinonimo di affari e non di ideali, ma nessuno potrà mai togliermi la soddisfazione di vedere Daniela esposta alla vergogna sulla stessa gogna che fu di Aboubakar.