DI PIERO ORTECA
Svalutazione controllata dello yuan. La Cina sfrutta la leva del cambio valutario, per rispondere alla sfida degli Stati Uniti. Lo ‘yuan’ è calato vistosamente, fino alla soglia psicologica di 7 unità per dollaro. Non accadeva da quattro anni. Ma sono alchimie finanziarie della Banca centrale di Pechino, e precise strategie geopolitiche.
Il denaro occidentale costa sempre di più, mentre quello cinese scende offrendo enormi vantaggi. Salvo futuri problemi economici interni che verranno.
Svalutazione cinese e contro dazi americani
Se la valuta di Xi Jinping s’indebolisce, i suoi prodotti all’estero (dove si paga in dollari) costeranno di meno. E se ne venderanno molti di più. Biden può mettere tutti i dazi doganali che vuole, cercando di ‘convincere’ l’Europa a scansare i fornitori cinesi ma, alla fine, comprare ‘Made in Shanghai’ sarà sempre più vantaggioso che affidarsi ai prodotti occidentali. E se è vero che «noi siamo ciò che decidono le Banche centrali», è anche vero che non sempre le Banche centrali si muovono secondo linee dettate solo dalla teoria economica. Insomma, la svalutazione dello ‘yuan’ risulta una decisione più politica che economica arrivata in diretta dal Comitato ristretto del Politburo del Partito comunista.
Svalutazione pilotata
La svalutazione ‘pilotata’, come risultato meno favorevole finale ha quello di aumentare progressivamente l’indebitamento nazionale. Con un altro importante elemento tecnico: il deprezzamento dello yuan non è per forza cercato dalla Banca di Cina, ma è solo ‘monitorato’. La moneta viene accompagnata al ribasso, senza intervenire e fino a quando conviene. Il resto lo fanno i mercati, dice Rory Green di ‘TS Lombard’, che aggiunge: «il rimbalzo della Cina più debole del previsto, unito a un’economia statunitense sorprendentemente robusta, è il fattore principale alla base del rapido indebolimento dello yuan».
Cambio alla banca centrale cinese
Il Governatore della Banca centrale, Yi Gang, un pragmatico che ha studiato all’Università dell’Illinois e insegnato in quella dell’Indiana (Usa), è stato ‘messo a riposo’. Aveva idee troppo rigorose, sugli equilibri di bilancio. Mentre con i debiti si rischia di scassare tutto, ma si fa bella figura col capo. Perché i risultati si vedono subito, ma le magagne spuntano dopo. In una situazione di questo tipo, la Cina ora gioca d’azzardo, punta a evitare il rallentamento economico in cui stava per cadere, ma si espone a rischi che prima era restia ad accollarsi. Consapevoli di questo, i dirigenti della Banca centrale di Cina hanno indetto una conferenza stampa, «per respingere le preoccupazioni occidentali su una deliberata svalutazione dello yuan». Liu Guoqiang, il vicegovernatore dell’Istituto, ha detto ai giornalisti che la Banca centrale preferiva vedere una valuta ‘fluttuante’, non vincolata a un cambio rigido, che non fosse impedimento a una crescita più rapida.
“Tradotto, significa che per avere una cifra-trofeo di Pil più elevata, alla fine dell’anno, si è pronti ad affrontare una fase di incertezza nel livello del cambio e dei tassi. Con tutto ciò che ne consegue. Negli ultimi due mesi, per esempio, i broker occidentali hanno ritirato qualcosa come 6 miliardi di dollari di investimenti, dal mercato finanziario cinese”.
“Finanza allegra”, chi inganna di più
Liu è stato, poi, molto duro nel replicare ad alcune critiche arrivate dall’America sulla presunta ‘finanza allegra’, che prospererebbe all’ombra del capitalismo di Stato cinese. In effetti, molti scandali hanno colpito negli ultimi anni il Paese. Ripetute bolle speculative sono esplose nel settore edilizio. Per non parlare dei tragici indebitamenti di tutte le amministrazioni locali e regionali. In definitiva, la Cina è un’economia che, per certi versi, è stata contrassegnata da una «crescita senza sviluppo». Guoqiang ha detto che, nel mercato dei cambi del suo Paese, non ci sono nè ‘dame’ e nemmeno ‘coccodrilli’. Termini presi a prestito dal gergo della finanza, che stanno a indicare investitori di piccolo cabotaggio o, peggio ancora, veri e propri biscazzieri truffaldini. Liu ha infine puntualizzato che «non c’è alcuna volontà di manipolare il tasso di cambio dello yuan». ‘Excusatio non petita’, anche perché poi, ha aggiunto, «bisognerebbe pagare di più le importazioni». Dimenticando di dire, però, che il salasso più importante per la Cina, cioè il costo dell’energia, è diminuito almeno del 50%.
Terza guerra economica mondiale
La spiegazione di Liu, più che una smentita è sembrata una conferma. Nonostante gli abboccamenti diplomatici, i dialoghi molto protocollari e i contenziosi ‘di facciata’, la verità è che siamo in piena Terza guerra economica mondiale. Non ancora dichiarata, ma che già si comincia a combattere. Le ‘atomiche’ da utilizzare per annichilire l’avversario, sono dentro le Banche centrali.
“A metà giugno, la notte che la Federal Reserve americana alzava il suo tasso di prestito di riferimento, tra il 5 e il 5,25%, la Banca di Pechino ha abbassato il suo al 2 65%. Le conseguenze, non solo sull’economia del resto del pianeta, ma sull’assetto geopolitico globale, saranno percepite da tutti”.
Articolo di Piero Orteca, da
15 Luglio 2023