19 LUGLIO 1992 – 2023 LA SAGA DELL’IPOCRISIA CONTINUA

DI ENZO PALIOTTI

 

“Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

Sono parole di Paolo Borsellino dette giorni prima del 19 luglio 1992, quando cioè fu fatto saltare in aria da una carica di tritolo piazzata in una Fiat 126 in sosta in Via D’Amelio. Le parole del Magistrato coincidono con quelle del suo collega – amico Giovanni Falcone che, in occasione dell’attentato ai suoi danni all’Addaura, parlò di “menti raffinatissime” che tramavano contro di lui, e contro la lotta alla mafia.

Nel corso degli anni e dei tanti processi è emerso, inequivocabilmente, che vi furono numerosi depistaggi, sistematici. Oltre a ciò, le indagini partite subito dopo la strage di Via D’Amelio, furono condotte con sorprendente superficialità ma anche come denuncia Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo: L’ansia del risultato per noi famiglia non può essere una soluzione. Oggi ricordare per noi vuol dire pretendere quella verità che riteniamo essere stata allontanata se non evitata da 25 anni di buchi neri e grossissime lacune riscontrabili in campo investigativo e in campo processuale”, e poi continua: “Noi ci chiediamo del perché in fase d’indagini non hanno mai ritenuto di assumere come testimone l’allora procuratore capo Pietro Giammanco, il diretto superiore di mio padre. È stato colui il quale ha omesso di informare mio padre dell’arrivo del tritolo a Palermo. A una richiesta di chiarimenti di mio padre, il dottore Giammanco rispose semplicemente che aveva provveduto a mandare le carte alla procura di Caltanissetta. C’è poi la non volontà da parte di Giammanco di delegare a mio padre le indagini su Palermo. La mattina del 19 luglio alle ore 7, mio padre riceve una chiamata da parte di Giammanco che lo informa della volontà di delegargli le indagini che erano state negate per mesi. Ci chiediamo il perché di questa telefonata da una persona che non aveva una confidenza di rapporti tale da giustificare un simile orario”.

Poi il discorso si sposta sulla “Agenda rossa” che Borsellino teneva nella sua borsa e che scomparve dalla scena del delitto ed ancora oggi si cerca, il fratello del magistrato Salvatore l’ha definita “La scatola nera della Repubblica”, essendo sicuro che in quell’agenda vi erano elementi che avrebbero potuto fare luce sulla strage di Capaci con le motivazioni di quell’atto criminoso e, sempre secondo Salvatore Borsellino, tutti questi elementi avrebbero potuto portare gli inquirenti ai mandanti anche di Via D’Amelio. Su questo anche Fiammetta si pronuncia: “Ci chiediamo perché sulla borsa di mio padre gli investigatori non hanno mai ritenuto nelle ore successive alla strage di effettuare un esame del Dna. Nel novembre del 1992 mia sorella informa La Barbera che dalla borsa era sparita l’agenda rossa. È quindi ovvio che sulla borsa vanno fatte tutte le indagini necessarie. Il dottore La Barbera invece il 25 luglio aveva comunicato all’Ansa che la borsa non esisteva. O comunque che la borsa esisteva ma l’agenda era andata distrutta”. Cosa c’era nell’agenda rossa?  “Nell’agenda c’erano annotazioni importanti che a noi non era dato sapere ma noi sapevamo che c’erano. C’è una parte oscura che chiamano Trattativa che riguarda i 52 giorni tra la morte di Falcone e quella di mio padre. Mio padre non è mai stato sentito dal procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra“. Le stragi di Capaci, via d’Amelio e del 1993? “È ovvio – dice la figlia di Paolo Borsellino – che tutto è collegato da un unico filo comune denominatore. Sarebbe ore di parlare di queste cose e non ricordare con retorica uomini che sappiamo chi sono stati perché ce l’hanno dimostrato con la loro dedizione”. (Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2017).

Il processo Borsellino quater ha visto confermare, con sentenza della Corte di Cassazione, davanti alla 5^ Sezione Penale, il 5 Ottobre 2021 tutte le condanne inflitte nei gradi precedenti. Inoltre, la sentenza di Appello ha confermato nella ricostruzione delle preparazione della strage, la presenza  prime e dopo la strage di persone estranee a “cosa nostra” e riconducibili ai servizi segreti. Ciò confermerebbe le tesi del depistaggio avvenuto nel corso delle indagini: “Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, così come già lo definì la Corte d’Assise di Caltanissetta, nelle motivazioni della sentenza, lunga quasi 2mila pagine e depositata nell’estate del 2018, del processo di primo grado.

Nell’ombra però rimangono i mandanti sia della strage che del depistaggio, e chissà se mai ne sapremo i nomi nonostante che si continui a parlare di “strage di stato”, di “coinvolgimento dei servizi segreti”.

Speranze perse anche in virtù della riforma della giustizia, invocata dall’attuale governo che vorrebbe privare la magistratura di strumenti importantissimi di indagine quali le intercettazioni, già per altro soggette a norme che ne disciplinano l’utilizzo. Oltre a ciò, il ministro della giustizia, vorrebbe abolire il 416bis, concorso esterno in associazione mafiosa, ritenuto dal ministro Nordio un provvedimento “evanescente”; il 41 bis che prevede la detenzione in regime speciale ed infine, l’abolizione del reato di “abuso d’ufficio” cioè il vero e proprio grimaldello per accedere a tanti altri reati connessi. Il lavoro cioè di una vita del Magistrato che oggi, ipocritamente gli stessi celebrano. Strumenti che consentirono a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone di istruire il maxi processo che vide imputati e condannati tutti i vertici di cosa nostra.       

Un vero e proprio affronto verso chi si è sacrificato fino alla morte per far rispettare la legalità. Lo ripeteremo fino all’infinito: l’unico modo per onorare adeguatamente Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina sarebbe quello di fare piena luce sulla strage e finalmente dare un nome a chi nell’ombra ha tramato contro lo Stato. Non è certo abbassando la guardia, abolendo strumenti e reati che hanno tracciato una via da seguire non da abbandonare, il modo migliore per continuare a lottare contro le mafie, il malaffare, la corruzione e la legalità in generale.