MARINES NEL GOLFO PERSICO, E LA CRISI USA-IRAN SI FA PERICOLOSA

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

 

Nubi nere sulle acque agitate del Golfo Persico. Dopo gli squadroni di caccia F-35 Lightning, gli Stati Uniti hanno spostato nell’area alcuni gruppi d’assalto di Marines imbarcati su due grandi navi anfibie.
Molto presto, nella zona dello Stretto di Hormuz, arriveranno la USS Bataan e la USS Carter Hall, capaci di trasportare più di duemila soldati, da mandare in combattimento. Specialisti capaci di creare ‘teste di ponte’ in territorio nemico.

“Portaerei leggera” ma molto pericolosa

La Bataan è una ‘portaerei leggera multiruolo’, che possiede sistemi d’arma assai temibili. E quella presa dal Pentagono, su chiare indicazioni della Casa Bianca, è una mossa ‘pesante’. Molto pesante. Una sorta di segnale ultimativo: dislocare truppe da sbarco significa che ci si sta avvicinando alla ‘linea rossa’ dell’escalation. E che si è pronti a tutto, segnala Washington. Gli ayatollah sono avvisati, ma le precedenti misure militari ‘preventive’ prese dal Pentagono, non hanno intimidito proprio nessuno. Nel quadrante del Golfo Persico, Washington ha recentemente spostato ben tre cacciatorpediniere. Il Paul Hamilton, il McFaul e il Thomas Hudner pattugliano la regione, mentre la portaerei Gerald Ford (Sesta flotta, nel Mar Mediterraneo) offre sostegno a distanza. Ma, evidentemente, questo spiegamento di forze non è bastato. E ora Biden ha deciso di alzare il tiro, per difendere la navigazione nello Stretto di Hormuz.

Rischio di far precipitare la situazione

Lo spiega lo stesso Segretario alla Difesa Usa, George Lloyd Austin: «Attraverso queste azioni, gli Stati Uniti stanno dimostrando l’impegno a garantire la libertà di navigazione e scoraggiare le attività di destabilizzazione iraniane nella regione». Hormuz, lo Stretto che è diventato il collo di bottiglia dell’Occidente, perché proprio da lì passa tra il 35 e il 40% del traffico mondiale di petrolio. Gli iraniani, in tempi di crisi, giocano come il gatto col topo. Gli basta minacciare e i prezzi dei noli marittimi salgono. Così, poi, di conseguenza, aumenta tutto. Naturalmente, per dare un tocco più realistico alla loro rendita di posizione, di tanto in tanto le Guardie rivoluzionarie degli ayatollah sequestrano qualche petroliera. Con gli sceriffi americani che, corri di qua e scappa di là, cercavano di salvare il salvabile e le loro petroliere.

Rischio di scontro militare diretto

Finora, l’Amministrazione Biden aveva tollerato senza risposte più dure, forse perché sperava di ottenere qualche risultato dai negoziati di Vienna, sul nucleare iraniano. Ma l’ultimo tentativo degli ayatollah di sequestrare una petroliera (il 5 luglio, al largo dell’Oman, la tanker Richard Voyager è stata attaccata da una corvetta della Marina di Teheran, la Bayandor) è fallito, per l’intervento di una nave da guerra statunitense.

Perplessità internazionali

Com’era prevedibile, la scelta americana, di adombrare un eventuale sbarco di Marines come forma di pressione, ha suscitato perplessità. Così, lo stesso Pentagono si è sentito in dovere di precisare: «Alla luce di queste continue minacce e in coordinamento con i nostri partner e alleati – ha detto la portavoce Sabrina Singh – il Dipartimento sta aumentando la nostra capacità di monitorare lo Stretto e le acque circostanti. Chiediamo all’Iran di cessare immediatamente queste azioni destabilizzanti, che minacciano il libero flusso del commercio attraverso questa via d’acqua strategica».

Troppe ferite aperte

La scelta di Biden è stata, probabilmente, determinata da notizie di Intelligence, che riferiscono di una situazione sempre più rischiosa per la navigazione nello Stretto in questione. Ovviamente, con tutte le ferite già aperte, dall’Ucraina allo Stretto di Taiwan, non si sente certo bisogno di alzare i toni dello scontro anche nel Medio Oriente, e nel Golfo Persico in particolare. Ma l’ambiguità geopolitica degli ayatollah, il gioco di sponda che fa l’Iran per aiutare la Russia a scavalcare le sanzioni, il sostegno che offre a Pechino come trampolino di penetrazione verso l’Asia minore e, soprattutto, la crescita delle preoccupazioni legate al programma nucleare di Teheran, sono tutti elementi destinati a far entrare gli Stati Uniti, prima o dopo, in rotta di collisione con la teocrazia persiana.

Ayatollah pericolosi

“Gli ayatollah, comunque, si attrezzano e, con i loro programmi di riarmo, fanno dormire sonni agitati agli strateghi occidentali. Israeliani in particolare. L’ultimo missile balistico che hanno sviluppato, il ‘Khorranshahr 4’, ha una gittata di 2000 chilometri. E, in teoria, può portare una testata di una tonnellata e mezza di alto esplosivo fino a Gerusalemme”.

 

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AVEVAMO DETTO

 

 

Articolo di Piero Orteca dalla redazione di

24 Luglio 2023