DI MARIO PIAZZA
Se questa espressione un po’ denigratoria avesse una faccia quella potrebbe benissimo essere la mia, se fosse un partito potrei ambire alla sua segreteria, se fosse una corrente filosofica rientrerei a pieno titolo tra i suoi maitre-a-penser.
Proprio perché sono un “boomer” a tutto tondo non mi riconosco nel patetico pezzo di Alain Elkann sui lanzichenecchi del Frecciarossa e neppure posso prendere le parti dei suddetti lanzichenecchi in un sussulto di giovanilismo, e meno ancora ho qualcosa a che vedere con tutto il resto dei passeggeri dei Frecciarossa: i manager dilaniati tra smartphone e laptop, le “passatelle” in grande spolvero che credono di stare su una passerella, i viaggiatori occasionali che guardano affascinati il tachimetro sul video mentre cercano invano la presa per l’alimentatore e il collegamento wi-fi.
Perché noi boomer, quelli veri, qualcosa lo abbiamo imparato.
Abbiamo imparato che il mondo è fatto di persone e non di categorie, e che su un treno come nella vita c’è posto per tutti, e abbiamo imparato che ogni volta che generalizziamo e che incespichiamo in un luogo comune possiamo avere la ragionevole certezza di aver detto una gigantesca cazzata. E soprattutto abbiamo imparato che se proprio non riusciamo a convivere con chi è diverso da noi dobbiamo almeno sforzarci di non romperci troppo l’un l’altro i coglioni.