DI LIDANO GRASSUCCI
Ho letto con molta attenzione l’intelligente articolo qui pubblicato (ieri) da Massimo Rosolini su Latina capitale italiana della cultura 2026. Il suo testo pone importanti suggestioni: partire dall’ultima città costruita per parlare del ‘900 è un bel colpo, cosa che può stordire dialetticamente. Ha anche un senso, ma quel novecento dove si è voluta mettere tutta la storia di questo posto e non quella di un secolo di questo posto è il nodo. Le città non nascono per volontà fondanti, ma per comunità che si riconoscono. Faccio un esempio: Latina è nata per volontà pubblica e le resta attaccato “l’odio per l’iniziativa privata”, ogni edificio di fondazione che perde la sua funzione qui viene “rinazionalizzato”, ogni attività nuova commerciale o altro incappa in un ginepraio di norme che la “certezza del diritto” è negata. Pomezia realizza poli commerciali e logistici in termini di mesi, da noi si realizzano in termini di mai.
Una città che in nome della sua razionalità originaria (il buono) cancella la sua scommessa futura (il cattivo). La città di fondazione è buona, la centrale nucleare cattiva. Come se Roma negasse il Colosseo perché ci uccidevano i cristiani ed esaltasse solo le terme perché ci si faceva il bagno. La storia di Latina sta nel ‘900 certo ma non solo se c’è l’Appia patrimonio dell’Unesco? Ma non è questo è il tempo corto e solo urbano. Anche Torino e Londra sono nate razionali nel suo impianto originale, erano accampamenti romani, quadro e squadro ma lì vi parlano del Tamigi con Jerome e i suoi viaggi in barca del Po che diventa mari del sud con Salgari. Insomma hanno narrazioni umane non di agromisura.
Le osservazioni di Massimo Rosolini sono pertinenti ma non esaustive: qui c’è stata una grande integrazione di migrazione interna, ora anche esterna (con il precedente dei profughi dell’est), ma ciascuno è rimasto nella sua bolla. Gli stessi profughi dell’est Europa qui ci sono passati ma non si sono fermati.
Lo dico da bastardo che sta in più (sono setino-veneto) bolle come tanti. Non c’è stato meticciato culturale, non c’è stata osmosi con l’intorno. C’è un centro con alcuni quartieri residenziali piccolo borghesi e poi “i coloni” (tanto è che il sindaco e la maggioranza parlano dei borghi come alla Nasa parlano degli esopianeti) e oltre il cerchio dei coloni, i montanari come nei disegnini geografici de Il Signore degli anelli per terre di elfi, orchi, nani, hobbit.
Qui, a Latina, per esempio non è nata una lingua radicata nelle tradizioni delle nostre comunità, ma un volgarissimo romanesco forzato. Scherzai con i responsabili della campagna elettorale di Damiano Coletta che usarono lo slogan “Daje” e non il più bello originale e lepino “Tocca”.
Dobbiamo uscire da una discussione architettonica, urbanistica, ma dobbiamo farne una discussione anche architettonico-urbanistico.
Latina capitale italiana della cultura è, comunque, una discussione certo è che se è solo una ennesima idea estemporanea serve a poco.
Ma chi è l’assessore alla cultura? Hanno avuto scontri in comune sull’assessore all’Urbanistica e non si sono posti il nodo della cultura. Salvo ora diventare, siccome nessuno lo è, tutti assessori alla cultura. Questa è Latina la città delle scorciatoie, del mostrare il potere, la città dove (tranne rare eccezioni) gli amministratori, i parlamentari non passeggiano per strada, non usano il centro, non vanno al bar.
Amare è difficile perché bisogna litigare, essere diversi. Spero che sia l’inizio di un confronto, ma vero non maschera a Carnevale.
Articolo di Lidano Grassucci, da
30 Luglio 2023