DI MARIO PIAZZA
Se io mi riconoscessi nel nazionalismo estremo, nel culto dell’autoritarismo e della forza, nella supremazia di una razza o di una religione, nell’avversione per l’emancipazione femminile e nel disprezzo per qualsiasi minoranza culturale, etica e morale non avrei nessuna difficoltà nel dichiararmi “neofascista” con la stessa orgogliosa disinvoltura con cui, un po’ approssimativamente lo ammetto, mi dichiaro comunista.
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Perché la Meloni e tanti altri come lei che in questo tristissimo momento storico stanno navigando col vento in poppa non possono farlo e io invece sì nonostante i tanti crimini commessi dal brigatismo rosso? La risposta è evidente per chiunque abbia voglia di pensarci un po’ su, perché c’è una enorme differenza tra chi per ragioni politiche colpisce un nemico preciso assumendosi il ruolo di giudice e boia e chi invece considera le stragi di persone innocenti come un accettabile strumento politico per raggiungere i propri scopi supremi.
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Io ho potuto prendere le distanze dai cosiddetti compagni che sbagliavano senza rinunciare a nessuno dei miei ideali politici, i neofascisti non possono farlo perché secondo loro i camerati stragisti non sbagliavano affatto. Per questo in pubblico non possono fare altro che disconoscere la paternità di quelle stragi, anche a costo di rendersi ridicoli.