LA CITTADINANZA ONORARIA È UNA COSA SERIA

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

In Italia esiste una città dove non è così difficile ottenere la cittadinanza onoraria. Cosa che peraltro non ti dà alcun diritto, se non quello di poter partecipare ad alcune cerimonie ufficiali e ai suoi buffet, quando sei invitato. Quella città è Bologna. Almeno da quando è sindaco Matteo Lepore.

Nel giugno 2022, quando Lepore già ne parlava da un anno, era stato inserito nello Statuto Comunale l’art. 3-bis, che prevede l’attribuzione automatica della cittadinanza onoraria a tutti i minori residenti stranieri nati in Italia, che abbiano completato almeno un ciclo scolastico o un percorso di formazione professionale.

Un’applicazione virtuale dello ius soli, che però in sostanza non vale nulla. Se per qualsiasi motivo i genitori di quel minore non ottengono il rinnovo del permesso di soggiorno, ad esempio perché hanno perso il lavoro, vengono espulsi dall’Italia, senza poter invocare, per restarci, la cittadinanza onoraria attribuita al proprio figlio minore grazie a Lepore.

Ma già una simile iniziativa aveva suscitato non poche perplessità, se si considera che qualche anno prima, precisamente nel 2014, il Consiglio Comunale di Bologna aveva dettato le regole per la concessione delle civiche onorificenze, tra le quali spicca per importanza proprio la cittadinanza onoraria.

L’art. 2 del regolamento comunale prevede la concessione della cittadinanza onoraria a «persone fisiche, non iscritte nel registro anagrafico della popolazione residente nel Comune di Bologna, che si siano distinte particolarmente per iniziative a carattere culturale, sociale, filantropico o nell’ambito della tutela dei diritti umani».

Insomma, un qualcosa attribuibile a chi abbia posto in essere iniziative encomiabili, da dover essere indicato come esempio per la comunità.

Su queste basi, il fatto di aver concesso la cittadinanza onoraria a tutti i minori stranieri residenti a Bologna, seppure a determinate condizioni scolastiche o di formazione, ma a prescindere dalla effettiva esistenza di una particolare encomiabile condotta, rappresenta una evidente forzatura. Tuttavia legittima, perché lo Statuto Comunale è sovraordinato a qualsiasi regolamento locale.

Ma a guardare agli avvenimenti più recenti, pare che il consiglio comunale di Bologna stia dando un’interpretazione personalissima delle condizioni che in generale fondano la concessione della cittadinanza onoraria, finendo per assecondare i voleri del sindaco Lepore, che ha la tendenza a considerare la concessione delle cittadinanze onorarie come una sorta di volantinaggio.

Basti pensare al caso Zaki. Per quanto ci si sforzi, non si riesce a immaginare in cosa il buon Zaki si sia «distinto particolarmente», se non per una particolare attitudine a ficcarsi nei guai dando del criminale stragista al presidente al-Sisi sui social, poco prima di decollare per un paese come l’Egitto.

Ma a dir poco sbalorditiva è la proposta arrivata in consiglio comunale dai banchi di Fratelli D’Italia, che vorrebbe dare la cittadinanza onoraria a Olga Kharlan, la campionessa ucraina di scherma che soltanto pochi giorni fa è entrata nella bufera per aver rifiutato di stringere la mano alla collega russa Anna Smirnova. Espulsa da ogni competizione per direttissima, ma riammessa dopo il discutibile intervento del presidente del CIO, il massimo organo mondiale dello sport.

Insomma, secondo il gruppo di Fratelli D’Italia del consiglio comunale di Bologna, Olga Kharlan, rifiutandosi di stringere la mano alla collega solo perché russa, quindi violando una sacra regola dello sport e attuando un comportamento apertamente discriminatorio, che la stessa Carta Olimpica vede come il fumo negli occhi, si sarebbe «distinta particolarmente» in una iniziativa «a carattere culturale, sociale, filantropico o nell’ambito della tutela dei diritti umani», come recita l’art. 2 del regolamento comunale, ponendosi così come esempio per la comunità.

Credo che ulteriori osservazioni siano del tutto superflue.